L’argomento rifiuti radioattivi è molto complesso – molto più di temi come la raccolta differenzia o l’impronta ecologica, che pure presentano elementi di una certa difficoltà – richiede conoscenze e competenze non solo relative alla gestione ed al trattamento dei rifiuti, ma anche tecnico-scientifiche, essendo la materia decisamente ostica.
Il nostro Paese ha rinunciato alla produzione di energie tramite fissione nucleare attraverso due referendum, rispettivamente nel 1987 e nel 2011.
Ciò nonostante, non siamo estranei al problema dello stoccaggio e della gestione dei rifiuti radioattivi, a partire dai residui delle centrali nucleari attive sul nostro territorio tra la fine degli anni ‘50 ed il 1987: Borgo Sabotino, Sessa Aurunca, Trino, Caorso.
Ma cosa sono i rifiuti radioattivi, come vanno trattati e smaltiti e qual è la normativa vigente in Italia?
Scopriamolo insieme.
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Cosa sono i rifiuti radioattivi
Prima abbiamo accennato alle centrali nucleari presenti sul nostro territorio e chiuse dopo il referendum del 1987, ma è importante sottolineare che il materiale radioattivo non viene impiegato solo nella produzione di energia elettrica, ma in moltissimi campi, come la medicina e la diagnostica medica, ad esempio.
Con il termine “rifiuti radioattivi” si intende, come indicato nel decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230,
le materie radioattive prodotte o rese radioattive mediante esposizione alle radiazioni inerenti alle operazioni di produzione e di impiego di combustibili nucleari; questa espressione non comprende: 1) i combustibili nucleari; 2) i radioisotopi che, fuori di un impianto nucleare, siano utilizzati, o destinati ad essere utilizzati, per scopi industriali, commerciali, agricoli, medici e scientifici.
Dalla definizione di rifiuto radioattivo si intuisce che questi materiali possono essere sottoposti anche a processi tali da consentirne il loro riutilizzo.
Vediamo come.
Rifiuti radioattivi: riprocessamento, ritrattamento, riutilizzazione
Come indicato nel decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45, il materiale radioattivo può essere riciclato o riutilizzato, in alcuni casi, attraverso 3 processi:
- riprocessamento: questa tecnica consiste nella separazione dei vari componenti del combustibile radioattivo, ovvero i prodotti della fissione dell’uranio – che vanno smaltiti – l’uranio fissile residuo, che può essere riutilizzato, ed il plutonio;
- ritrattamento: questo processo consiste nell’estrazione di materie fissili ancora fertili dal combustibile esaurito, per poterlo riutilizzare;
- riutilizzazione: il materiale può essere ceduto ad altri soggetti e reimpiegato.
Ovviamente, questi processi devono seguire delle norme molto stringenti e specifiche per poter essere operati.
Rifiuti radioattivi: come avviene lo smaltimento
Tutto il materiale radioattivo che non può essere riutilizzato in questo modo, diventa un rifiuto radioattivo, da smaltire.
Quando si parla di smaltimento dei rifiuti radioattivi in Italia si deve fare un distinguo:
- smaltimento: i rifiuti radioattivi o il combustibile esaurito viene smaltito all’interno di un impianto autorizzato, senza intenzione di recuperarli successivamente;
- smaltimento nell’ambiente: il materiale radioattivo viene immesso nell’ambiente in condizioni controllate, entro determinati limiti stabiliti per legge.
Lo smaltimento dei rifiuti radioattivi è subordinato ad una serie di autorizzazioni molto stringenti, e comunque in relazione alla categoria di rifiuto.
Rifiuti radioattivi: tre categorie per grado di pericolosità
I rifiuti radioattivi non sono tutti uguali, si dividono in base alla loro pericolosità in tre categorie, secondo il grado di pericolosità radiologica:
- I Categoria: rifiuti radioattivi a bassa attività, la cui radioattività decade in tempi relativamente brevi, da qualche mese a qualche anno. In questa categoria rientrano i materiali radioattivi utilizzati in medicina e nella ricerca scientifica;
- II Categoria: rifiuti radioattivi a bassa/media attività o a vita breve, che perdono la loro radioattività in qualche secolo;
- III Categoria: rifiuti radioattivi ad alta attività o a vita lunga, che richiedono migliaia o centinaia di migliaia di anni per il loro decadimento.
Mentre i rifiuti della prima categoria vengono “semplicemente” immagazzinati in condizioni controllate fino al loro decadimento, per poi essere smaltiti, quelli che rientrano nelle altre categorie necessitano di due processi:
- Condizionamento: si tratta di una serie di trattamenti chimici e fisici che convertono i rifiuti radioattivi in forma solida, stabile e duratura, che ne facilitano il trasporto e lo smaltimento in depositi dedicati. Generalmente viene impiegato il cemento ed il vetro;
- Smaltimento in depositi definitivi: i manufatti frutto della fase di condizionamento vengono trasportati in depositi completamente isolati. Nel caso dei rifiuti di categoria II, si utilizza un deposito superficiale, protetto da barriere artificiali, con vari gradi di isolamento, ad esempio dei grandi fabbricati, mentre per quelli di categoria III, si opta spesso per grandi formazioni geologiche in profondità.
Rifiuti radioattivi: cos’è il deposito nazionale
La maggior parte dei Paesi europei possiede o sta realizzando depositi definitivi per rifiuti di bassa e media attività. Molti di questi hanno avviato la progettazione o lo studio di depositi definitivi (geologici) per i rifiuti ad alta attività.
Paesi con minori quantità di rifiuti ad alta attività partecipano invece a programmi comunitari per la definizione di un Deposito Geologico Europeo.
Con Il decreto legislativo n. 31 del 2010 l’Italia ha dato incarico alla Sogin di realizzare un Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi.
Si tratta di un’infrastruttura ambientale di superficie dove mettere in totale sicurezza i rifiuti radioattivi, che consentirà di completare il decommissioning degli impianti nucleari italiani e di gestire tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli generati dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca.