L’artrosi dell’anca, scientificamente nota come coxartrosi, rappresenta una delle patologie degenerative più comuni che colpiscono le articolazioni portanti del corpo umano.
Spesso associata all’invecchiamento e all’inevitabile usura delle strutture articolari, le sue cause sono in realtà multifattoriali e comprendono una complessa interazione di fattori genetici, meccanici e legati allo stile di vita.
Approfondiamo insieme, partendo dalla definizione di coxartrosi e dalle sue origini, fino ad analizzare le più moderne ed efficaci opzioni di trattamento disponibili.
Indice dei contenuti
- Che cos’è l’artrosi dell’anca?
- L’articolazione coxo-femorale e il ruolo della cartilagine
- Artrosi primaria (Idiopatica) e artrosi secondaria
- Cause della coxartrosi e fattori di rischio
- Fattori demografici e stile di vita: età, genere e obesità
- Anomalie anatomiche: displasia e conflitto femoro-acetabolare
- I sintomi della coxartrosi
- Il dolore all’anca (coxalgia)
- Rigidità e limitazione funzionale
- Gli stadi di gravità della coxartrosi (classificazione radiografica)
- Come si effettua la diagnosi di artrosi dell’anca
- L’esame clinico e anamnestico del paziente
- Diagnostica per immagini
- Ulteriori indagini diagnostiche (TC e Risonanza Magnetica)
- Terapia conservativa: gestione del dolore e della funzionalità
- Trattamenti comportamentali e fisioterapici
- Terapia farmacologica orale: antidolorifici e antinfiammatori
- Terapie infiltrative intra-articolari
- Trattamenti chirurgici: chirurgia conservativa e sostituzione protesica
- Quando è necessario l’intervento chirurgico?
- Chirurgia di conservazione articolare
- Artroprotesi totale d’anca
- Rischi e complicanze dell’artroprotesi d’anca
- Post-operatorio e recupero funzionale
- Gestione del dolore e anestesia
- Il percorso riabilitativo post-chirurgico
- Domande frequenti (FAQ)
Che cos’è l’artrosi dell’anca?
La coxartrosi è un disordine degenerativo e progressivo dell’articolazione dell’anca, il cui processo centrale è la perdita graduale e l’usura della cartilagine articolare.
Questo tessuto, che in condizioni normali permette un movimento fluido e senza attrito tra le ossa, si deteriora, diventando ruvido e assottigliato. Tale degenerazione innesca una serie di alterazioni a carico dell’intera articolazione, nello specifico:
- sviluppo di escrescenze ossee marginali, note come osteofiti, che tentano di compensare la perdita di stabilità;
- formazione di cavità nell’osso sottostante la cartilagine (subcondrale), chiamate geodi o cisti ossee;
- addensamento e indurimento dell’osso subcondrale, un fenomeno noto come sclerosi subcondrale.
Abbiamo detto che si tratta di una condizione degenerativa, ovvero che tende a peggiorare con il tempo, ma è bene ricordare che al processo di usura si associano frequentemente fenomeni infiammatori a carico della membrana sinoviale, che contribuiscono al dolore e alla rigidità.
L’articolazione coxo-femorale e il ruolo della cartilagine
L’articolazione dell’anca, o coxo-femorale, è un esempio di articolazione a sfera (o sferica), progettata per garantire un’ampia mobilità e al contempo sopportare il peso del corpo.
È formata da due componenti ossee principali:
- la testa del femore, che costituisce la sfera;
- l’acetabolo, una cavità a forma di coppa situata nel bacino, che accoglie e contiene la testa del femore.
Entrambe le superfici ossee sono rivestite da uno strato di cartilagine articolare, un tessuto liscio, elastico e altamente resistente che svolge un ruolo cruciale: protegge le ossa dall’attrito, ammortizza i carichi durante la deambulazione e permette un movimento ampio e indolore.
L’articolazione è inoltre lubrificata dal liquido sinoviale, prodotto da una membrana interna (la sinovia), che riduce ulteriormente l’attrito e nutre la cartilagine.
Artrosi primaria (Idiopatica) e artrosi secondaria
La coxartrosi viene tradizionalmente classificata in due forme principali, a seconda della sua origine:
- artrosi primaria (o idiopatica): si definisce così quando la patologia si sviluppa in assenza di fattori di rischio o cause evidenti. È tipicamente legata ai processi di invecchiamento e all’usura naturale dell’articolazione, manifestandosi in genere in età più avanzata;
- artrosi secondaria: in questa forma è possibile individuare una o più cause specifiche che hanno predisposto l’articolazione a una degenerazione precoce. Tra le cause più comuni troviamo:
- traumi o fratture pregresse che hanno alterato l’anatomia articolare;
- malformazioni congenite o sviluppate durante l’infanzia, come la displasia dell’anca;
- anomalie anatomiche come il conflitto femoro-acetabolare;
- malattie reumatologiche (es. artrite reumatoide), metaboliche (es. diabete) o infettive.
Grazie al miglioramento delle capacità diagnostiche, molte forme un tempo considerate idiopatiche vengono oggi ricondotte a cause specifiche, come il conflitto femoro-acetabolare. Di conseguenza, il termine artrosi primitiva è progressivamente meno utilizzato.
Cause della coxartrosi e fattori di rischio
Indagare e individuare le possibili cause e i fattori di rischio è fondamentale per delineare strategie di prevenzione efficaci e per intervenire precocemente sulla sintomatologia.
Vediamo quali sono.
Fattori demografici e stile di vita: età, genere e obesità
Diversi fattori, alcuni non modificabili e altri legati allo stile di vita, aumentano la probabilità di sviluppare coxartrosi.
Ci riferiamo ai seguenti:
- età avanzata: il rischio aumenta progressivamente con l’età. L’incidenza della patologia diventa significativa a partire dai 50 anni, a causa della naturale riduzione della capacità rigenerativa della cartilagine;
- genere: le statistiche indicano che le donne hanno una probabilità maggiore di sviluppare artrosi rispetto agli uomini;
- obesità e sovrappeso: il peso corporeo in eccesso aumenta in modo significativo il carico meccanico sull’articolazione dell’anca. È stato stimato che per ogni chilo di peso corporeo perso, la pressione sull’anca durante la deambulazione si riduce da 4 a 7 chili;
- predisposizione genetica: avere familiari di primo grado con coxartrosi aumenta la probabilità di sviluppare la stessa condizione, suggerendo un ruolo dei fattori ereditari;
- traumi pregressi: un infortunio significativo all’anca, come una frattura o una lussazione, può danneggiare la cartilagine e innescare un processo degenerativo accelerato.
Anomalie anatomiche: displasia e conflitto femoro-acetabolare
Anomalie nella forma dell’articolazione sono oggi riconosciute come una delle cause principali di artrosi precoce, al punto che, come accennato prima, molte forme un tempo etichettate come idiopatiche o primitive, soprattutto in soggetti giovani e attivi, sono oggi attribuite proprio a queste alterazioni.
Le due condizioni più studiate sono la displasia e il conflitto femoro-acetabolare
- conflitto femoro-acetabolare:
- di tipo CAM (a camma): prominenza della giunzione testa-collo del femore. Il conflitto di tipo CAM è causato da un’anomalia morfologica del femore. In particolare, la giunzione tra la testa e il collo del femore presenta una prominenza ossea, una sorta di gobba, che interrompe la normale sfericità della testa femorale. Durante i movimenti di flessione e rotazione interna dell’anca, questa prominenza entra in conflitto con il bordo dell’acetabolo, schiacciando e danneggiando progressivamente la cartilagine e il labbro acetabolare;
- di tipo PINCER (a tenaglia): sovracopertura del bordo acetabolare: il conflitto di tipo PINCER si verifica quando è l’acetabolo ad avere una conformazione anomala. Il suo bordo è eccessivamente prominente e copre troppo la testa del femore (sovracopertura). Durante i movimenti più ampi, il collo del femore va a urtare contro questo bordo eccessivo, schiacciando e danneggiando la struttura fibrocartilaginea del labbro acetabolare (o cercine), che è la prima a subire le conseguenze di questo effetto tenaglia, da cui prende il nome.
Questi fattori e meccanismi patologici si traducono in una serie di sintomi specifici che peggiorano con la progressione della malattia.
I sintomi della coxartrosi
I sintomi della coxartrosi sono il modo in cui l’articolazione comunica il suo stato di sofferenza.
Imparare a interpretarli correttamente, da parte sia del paziente che del medico, è essenziale per avviare un percorso diagnostico tempestivo e impostare un piano di trattamento adeguato prima che la degenerazione diventi invalidante.
Il dolore all’anca (coxalgia)
Il sintomo predominante e più comune è il dolore, noto in ambito medico come coxalgia. Le sue caratteristiche sono tipiche e aiutano a orientare la diagnosi.
Vediamole:
- localizzazione: il dolore si manifesta classicamente nella regione inguinale;
- irradiazione: spesso non rimane confinato all’inguine, ma si irradia alla parte anteriore-interna della coscia, al gluteo e, in alcuni casi, può arrivare fino al ginocchio. Questo fenomeno è dovuto all’irritazione di nervi, come il nervo femorale, i cui rami innervano sia l’articolazione dell’anca sia la regione del ginocchio, confondendo talvolta il quadro clinico;
- progressione: nelle fasi iniziali, il dolore compare tipicamente durante o dopo l’attività fisica o l’applicazione di un carico sull’articolazione (es. camminare a lungo, salire le scale). Con il progredire della malattia, il dolore può manifestarsi anche a riposo e, negli stadi più avanzati, diventare notturno, disturbando il sonno.
Rigidità e limitazione funzionale
Oltre al dolore, la coxartrosi causa una progressiva perdita di funzionalità articolare, che si manifesta attraverso una serie di sintomi invalidanti, tra cui i seguenti:
- rigidità articolare: è particolarmente accentuata al mattino al risveglio o dopo essere rimasti seduti per lunghi periodi. Questo accade perché, durante l’inattività, il liquido sinoviale infiammato all’interno dell’articolazione può addensarsi, richiedendo alcuni movimenti per riacquistare la sua fluidità e le sue proprietà lubrificanti;
- limitazione del movimento: i pazienti riscontrano difficoltà crescenti in gesti quotidiani che prima erano semplici, come allacciarsi le scarpe, infilare i calzini, salire e scendere le scale o uscire dall’automobile;
- zoppia: è una conseguenza diretta del dolore e della rigidità. Il paziente, consciamente o inconsciamente, tende a caricare meno sull’arto interessato per ridurre il dolore, sviluppando un’andatura anomala;
- rumori articolari: durante il movimento dell’anca è possibile avvertire una sensazione di scricchiolio o sfregamento, definita crepitio, causata dal contatto tra le superfici articolari ormai ruvide.
Gli stadi di gravità della coxartrosi (classificazione radiografica)
La gravità della degenerazione articolare viene valutata oggettivamente tramite un esame radiografico.
Una delle classificazioni più utilizzate è la Scala di Tönnis, che suddivide la coxartrosi in quattro gradi basandosi sui segni visibili ai raggi X, come riportato in questo articolo pubblicato sul GIOT – Giornale Italiano di Ortopedia e Traumatologia.
| Grado | Descrizione Radiografica |
|---|---|
| Grado 0 | Minima sclerosi sia della testa femorale che dell’acetabolo, rima articolare normale |
| Grado 1 | Presenza di sclerosi della testa femorale e dell’acetabolo, minima riduzione dell’interlinea articolare e minima osteofitosi |
| Grado 2 | Sclerosi e piccole cisti a livello acetabolare e femorale, moderato restringimento dell’interlinea articolare, deformità della testa femorale |
| Grado 3 | Presenza di cisti più grandi a livello femorale e acetabolare, importante restringimento-perdita completa dell’interlinea articolare, grave deformità della testa femorale |
La diagnosi formale integra l’analisi dei sintomi riferiti dal paziente con le evidenze oggettive emerse dagli esami di imaging.
Come si effettua la diagnosi di artrosi dell’anca
La diagnosi di coxartrosi è un processo investigativo che combina l’ascolto attento della storia del paziente, un esame fisico mirato e l’utilizzo della tecnologia di imaging.
Questo approccio integrato è cruciale non solo per confermare la presenza della patologia, ma anche per determinarne la gravità, identificarne le cause sottostanti e pianificare il trattamento più efficace.
L’esame clinico e anamnestico del paziente
Il percorso diagnostico inizia sempre con un’accurata anamnesi. Lo specialista ortopedico raccoglie informazioni dettagliate sulla storia clinica del paziente, sulla localizzazione e le caratteristiche del dolore, sulle attività che lo scatenano e su come la sintomatologia impatta la vita quotidiana.
Segue l’esame obiettivo, durante il quale il medico valuta direttamente l’articolazione e la sua funzionalità attraverso:
- la deambulazione (il modo di camminare) per identificare la presenza di zoppia;
- l’escursione articolare attiva (eseguita dal paziente) e passiva (eseguita dal medico) per misurare la limitazione del movimento;
- la ricerca di dolore alla palpazione in punti specifici dell’anca;
- la valutazione del tono e del trofismo muscolare della coscia e del gluteo.
Diagnostica per immagini
La radiografia (RX) del bacino e dell’anca è l’esame di primo livello, fondamentale per confermare la diagnosi di coxartrosi. Le immagini radiografiche permettono di visualizzare chiaramente i segni tipici della degenerazione articolare, ovvero:
- riduzione della rima articolare: lo spazio tra la testa del femore e l’acetabolo appare assottigliato;
- sclerosi dell’osso subcondrale: l’osso sotto la cartilagine appare più denso e bianco;
- presenza di osteofiti: le caratteristiche escrescenze ossee sui margini dell’articolazione;
- presenza di geodi: le cavità cistiche nell’osso.
Ulteriori indagini diagnostiche (TC e Risonanza Magnetica)
In casi selezionati, dubbi o complessi, possono essere richiesti esami di secondo livello per ottenere informazioni più dettagliate.
I più comuni sono:
- Tomografia Computerizzata (TC): fornisce una valutazione tridimensionale molto precisa della struttura ossea. È particolarmente utile per studiare deformità complesse e per la pianificazione pre-operatoria di interventi chirurgici.
- Risonanza Magnetica (RM) o Artro-RM (con mezzo di contrasto): è l’esame di scelta per valutare i tessuti molli. È fondamentale per diagnosticare condizioni come l’osteonecrosi della testa femorale, per visualizzare lesioni della cartilagine e del labbro acetabolare, e per studiare in dettaglio le anomalie morfologiche del conflitto femoro-acetabolare (FAI).
Una volta confermata la diagnosi e stabilita la gravità, si passa alla definizione di un piano terapeutico personalizzato, che inizia quasi sempre con le opzioni conservative.
Terapia conservativa: gestione del dolore e della funzionalità
I trattamenti conservativi rappresentano la prima linea di intervento nella gestione della coxartrosi.
Il loro obiettivo strategico è duplice: da un lato, controllare la sintomatologia dolorosa per migliorare la qualità di vita del paziente; dall’altro, rallentare, ove possibile, la progressione della malattia, posticipando così la necessità di ricorrere a un intervento chirurgico.
Trattamenti comportamentali e fisioterapici
Un approccio combinato, basato su modifiche dello stile di vita e fisioterapia mirata, è considerato essenziale in tutte le fasi della malattia, e prevede:
- modifiche dello stile di vita: la riduzione del peso corporeo nei pazienti obesi o in sovrappeso è una delle misure più efficaci per diminuire il carico sull’anca e alleviare i sintomi. È inoltre consigliato il passaggio da sport ad alto impatto (come la corsa) ad attività a basso impatto (nuoto, ciclismo), ma anche discipline come il tai-chi e lo yoga, che studi recenti indicano come promettenti nel migliorare dolore e funzionalità;
- fisioterapia: l’esercizio terapeutico, guidato da un professionista, è cruciale per rafforzare la muscolatura di supporto dell’anca (glutei, quadricipite), migliorare la flessibilità e aumentare l’escursione articolare, contribuendo a una migliore distribuzione dei carichi;
- ausili: l’utilizzo di un bastone o di un deambulatore, tenuto dal lato opposto all’anca dolente, può ridurre significativamente il carico sull’articolazione, diminuire il dolore e migliorare la sicurezza durante la deambulazione.
Terapia farmacologica orale: antidolorifici e antinfiammatori
I farmaci orali sono ampiamente utilizzati per gestire il dolore e l’infiammazione associati alla coxartrosi.
In genere, il medico prescrive i seguenti:
- paracetamolo: è spesso raccomandato come analgesico di prima linea per il dolore di intensità lieve-moderata, grazie al suo buon profilo di sicurezza;
- Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS): questa classe di farmaci (es. ibuprofene, naprossene, diclofenac) agisce sia riducendo il dolore che contrastando l’infiammazione. Si distinguono in FANS non selettivi e FANS selettivi per la COX-2, che presentano profili di rischio diversi (i primi più a rischio per lo stomaco, i secondi per il sistema cardiovascolare). Vanno utilizzati per brevi periodi e sotto controllo medico;
- analgesici oppioidi: riservati ai casi di dolore severo che non risponde ad altre terapie, devono essere prescritti con estrema cautela a causa del rischio di effetti collaterali e dipendenza.
Terapie infiltrative intra-articolari
L’iniezione di farmaci direttamente all’interno dell’articolazione (spesso sotto guida ecografica per garantirne la precisione), anche detta infiltrazione, è un’altra opzione per il trattamento locale dei sintomi.
I farmaci utilizzati possono essere i seguenti:
- corticosteroidi: sono potenti farmaci antinfiammatori che, infiltrati nell’anca, possono offrire un rapido e significativo sollievo dal dolore, specialmente durante le fasi acute. Il loro utilizzo è indicato dalle principali linee guida internazionali (OARSI, EULAR, ACR), ma l’effetto è temporaneo e le iniezioni non dovrebbero essere ripetute troppo frequentemente per evitare potenziali danni alla cartilagine;
- acido ialuronico (Viscosupplementazione): questa terapia mira a ripristinare le proprietà viscoelastiche e lubrificanti del liquido sinoviale. Tuttavia, per l’articolazione dell’anca, le evidenze scientifiche sono dibattute. Sebbene alcuni studi mostrino benefici a breve termine negli stadi iniziali, le principali linee guida, come quelle dell’American College of Rheumatology (ACR), ne definiscono l’uso come non raccomandato a causa di una mancanza di prove consistenti di efficacia;
- plasma ricco di piastrine (PRP): si tratta di un prodotto biologico derivato dal sangue del paziente stesso, concentrato in piastrine e fattori di crescita con potenziali proprietà antinfiammatorie e rigenerative. Gli studi sull’anca indicano un miglioramento del dolore e della funzionalità, spesso superiore a quello ottenuto con l’acido ialuronico a 6 mesi, con effetti benefici che possono durare fino a 12 mesi.
Quando queste terapie non sono più in grado di controllare i sintomi e la limitazione funzionale diventa invalidante, si rende necessario prendere in considerazione il trattamento chirurgico.
Trattamenti chirurgici: chirurgia conservativa e sostituzione protesica
La chirurgia è la risposta strategica per i casi di coxartrosi avanzata e per la correzione delle anomalie anatomiche che ne sono alla base.
È essenziale distinguere l’obiettivo della chirurgia conservativa, che mira a preservare l’articolazione e ritardare la progressione della malattia, da quello della chirurgia protesica, che sostituisce l’articolazione ormai irrimediabilmente compromessa.
Quando è necessario l’intervento chirurgico?
La decisione di procedere con la chirurgia è profondamente personale e viene presa quando il dolore e la limitazione funzionale compromettono in modo inaccettabile la qualità della vita del paziente, impedendogli di raggiungere i propri obiettivi funzionali e di partecipare ad attività ritenute importanti.
L’indicazione si consolida quando i trattamenti conservativi non offrono più un sollievo adeguato e la disabilità incide sulle attività quotidiane, dal lavoro al semplice riposo notturno.
Chirurgia di conservazione articolare
Questo approccio è indicato soprattutto in pazienti giovani con una degenerazione cartilaginea ancora iniziale, ma con un’alterazione biomeccanica che, se non corretta, porterebbe a un’artrosi severa.
L’obiettivo è prevenire o ritardare la necessità di una protesi.
Le opzioni, in questo caso, sono due:
- artroscopia d’anca: è una tecnica mininvasiva che, attraverso piccole incisioni e l’uso di una telecamera, permette al chirurgo di lavorare all’interno dell’articolazione. È utilizzata principalmente per trattare il conflitto femoro-acetabolare, consentendo di rimodellare l’osso in eccesso (osteocondroplastica) e di riparare le lesioni del labbro acetabolare;
- osteotomie: sono interventi più complessi in cui l’osso del femore o del bacino viene tagliato e riallineato chirurgicamente per correggere gravi deformità e ridistribuire il carico su aree di cartilagine più sane. Sono riservate a casi molto selezionati.
Artroprotesi totale d’anca
L’artroprotesi totale d’anca è l’intervento risolutivo per la coxartrosi in stadio avanzato ed è una delle procedure chirurgiche di maggior successo in ortopedia.
L’intervento consiste nella rimozione delle parti articolari danneggiate (la testa del femore e la superficie acetabolare) e nella loro sostituzione con componenti artificiali (protesi) che riproducono la normale anatomia e funzionalità dell’anca.
Un impianto protesico moderno è composto da quattro parti:
- coppa acetabolare (o cotile): una componente metallica (solitamente in lega di titanio) che viene fissata all’osso del bacino;
- inserto: una superficie di scorrimento (in polietilene ad alta densità o ceramica) che si inserisce all’interno del cotile e funge da nuova cartilagine;
- testa protesica: una sfera artificiale (in ceramica o lega metallica) che si articolerà con l’inserto;
- stelo femorale: una componente metallica (in lega di titanio o cromo-cobalto) che viene inserita nel canale del femore e su cui si fissa la testa protesica.
Le protesi sono realizzate con materiali biocompatibili e altamente resistenti all’usura. Un modo accurato per considerare la longevità di un impianto è attraverso il suo tasso di fallimento annuale, stimato tra lo 0,5% e l’1,0%. Questo si traduce in una probabilità di sopravvivenza della protesi del 90-95% a 10 anni e dell’80-85% a 20 anni.
Rischi e complicanze dell’artroprotesi d’anca
Sebbene l’artroprotesi d’anca sia una procedura di grande successo e con un’altissima percentuale di soddisfazione, come ogni intervento chirurgico non è esente da possibili rischi e complicanze.
Vediamo quali sono:
- infezione: è una delle complicanze più gravi. Sebbene rara (circa 1%), può richiedere terapie antibiotiche prolungate e talvolta ulteriori interventi chirurgici;
- trombosi venosa profonda: la formazione di coaguli di sangue (trombi) nelle vene delle gambe. Viene prevenuta con l’uso di farmaci anticoagulanti e con la mobilizzazione precoce;
- lussazione: la fuoriuscita della testa protesica dalla coppa acetabolare. Il rischio è maggiore nelle prime settimane e viene minimizzato seguendo le precauzioni indicate;
- differenza di lunghezza degli arti: a volte, per garantire la stabilità della protesi, può residuare una lieve differenza di lunghezza tra le due gambe, solitamente ben tollerata o correggibile con un piccolo rialzo;
- mobilizzazione asettica: con il passare degli anni, le componenti protesiche possono allentarsi dall’osso. È la causa più comune di fallimento a lungo termine e può richiedere un intervento chirurgico di revisione (sostituzione della protesi).
Post-operatorio e recupero funzionale
Il successo a lungo termine di un intervento di protesi d’anca dipende in modo cruciale da un’attenta gestione della fase post-operatoria e da un percorso riabilitativo ben strutturato.
L’obiettivo è garantire un recupero sicuro, rapido e completo della funzionalità, permettendo al paziente di tornare alle proprie attività quotidiane senza dolore.
Gestione del dolore e anestesia
Le moderne tecniche di anestesia, come l’anestesia loco-regionale (spinale o epidurale), e i protocolli di gestione del dolore multimodale (che combinano diversi farmaci e approcci) hanno reso il decorso post-operatorio significativamente meno doloroso rispetto al passato.
Un efficace controllo del dolore è fondamentale perché facilita una mobilizzazione più rapida e una partecipazione più attiva al programma riabilitativo.
Il percorso riabilitativo post-chirurgico
La riabilitazione inizia quasi immediatamente dopo l’intervento e si basa su alcuni pilastri fondamentali:
- mobilizzazione precoce: i pazienti vengono incoraggiati a mettersi in piedi e a iniziare a camminare, con l’ausilio di deambulatori o stampelle, già dal giorno stesso o dal giorno successivo all’intervento. Questo approccio è essenziale per prevenire complicanze come la trombosi venosa e per accelerare il recupero della fiducia e dell’autonomia;
- fisioterapia: un programma personalizzato, guidato da un fisioterapista, è cruciale per recuperare l’intera escursione articolare, la forza muscolare e una deambulazione corretta. L’obiettivo è abbandonare progressivamente gli ausili entro 1-2 mesi e tornare a una piena funzionalità;
- prevenzione della lussazione: nelle prime settimane dopo l’intervento, è fondamentale seguire alcune precauzioni per evitare la lussazione della protesi (la fuoriuscita della testa dalla sua sede). Le raccomandazioni principali includono:
- evitare di accavallare le gambe;
- evitare di flettere l’anca oltre i 90°;
- utilizzare sedute alte e rialzi per il WC.
Domande frequenti (FAQ)
È una patologia degenerativa e progressiva che colpisce l’articolazione dell’anca. È causata dal deterioramento graduale della cartilagine, il rivestimento protettivo delle ossa. L’usura porta allo sfregamento delle ossa, causando dolore, rigidità e la formazione di speroni ossei (osteofiti).
Il sintomo più comune è la coxalgia, un dolore all’anca spesso localizzato all’inguine, che può irradiarsi fino al ginocchio o al gluteo. Si manifesta anche rigidità articolare, soprattutto al mattino o dopo inattività. Nei casi avanzati, causa limitazione funzionale e zoppia, rendendo difficili azioni come camminare o mettere le scarpe.
Sì, l’esercizio fisioterapico e l’attività fisica a basso impatto sono essenziali per migliorare la funzionalità e ridurre lo stress sull’articolazione. Sono raccomandati esercizi aerobici come camminare, nuoto e ciclismo. È importante evitare sport con torsione o attività ad alto impatto, come la corsa.
La terapia orale più usata per il controllo del dolore è il Paracetamolo. I FANS (Farmaci Antiinfiammatori Non Steroidei) sono utilizzati per alleviare sia il dolore che l’infiammazione. Per il dolore severo, è possibile ricorrere agli analgesici oppioidi, ma a basso dosaggio per il rischio di dipendenza.
L’infiltrazione con acido ialuronico è un’opzione usata per migliorare la funzione articolare e procrastinare l’intervento. Sembra essere efficace negli stadi iniziali o moderati dell’artrosi. Tuttavia, l’utilizzo intrarticolare di AI nell’anca è ancora dibattuto in letteratura, tanto che alcune linee guida lo definiscono “non raccomandato”.
L’intervento è indicato quando i trattamenti conservativi (farmaci, fisioterapia, infiltrazioni) hanno fallito. La sostituzione protesica è il trattamento di scelta nelle forme avanzate di degenerazione articolare. La decisione finale spetta al paziente, in base all’intensità del dolore e a quanto la limitazione incida sulla sua qualità di vita.
Una protesi totale d’anca moderna dura in media circa 15-20 anni. I recenti progressi nei materiali e nelle tecniche, come l’uso del polietilene reticolato, hanno notevolmente contribuito ad aumentare questa longevità. La probabilità che la nuova articolazione duri 20 anni è stimata tra l’80% e l’85%.
Sebbene la protesi d’anca sia una procedura di successo, le complicanze includono la lussazione dell’articolazione (circa l’1%), la trombosi, e l’infezione (circa l’1%). Altri rischi possibili sono la differenza di lunghezza degli arti e la mobilizzazione dell’impianto nel tempo.
Il rischio di sviluppare artrosi in generale è simile per i diversi sessi, ma le donne hanno una probabilità maggiore di sviluppare la coxartrosi rispetto agli uomini. Inoltre, i dati suggeriscono che l’approccio infiltrativo con acido ialuronico dà risultati migliori nel sesso femminile.

