Il dibattito pubblico sulla pandemia da nuovo coronavirus si è concentrata, negli ultimi mesi, sulla cosiddetta variante inglese del Sars-CoV-2.
Si tratta di una mutazione del virus, del tutto normale soprattutto quando si parla di virus a RNA, come quello che ha provocato l’epidemia che ormai tutti conosciamo fin troppo bene.
In un recente documento pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità è emerso che la variante inglese è colpevole del 17,8% dei contagi registrati nel nostro Paese.
Ma andiamo per ordine, e cerchiamo di capire cos’è la variante inglese, perché preoccupa così tanto e quali sono i numeri fin qui rilevati.
Indice dei contenuti
Cos’è la variante inglese del Sars-CoV-2
Il documento a cui abbiamo fatto riferimento prima contiene anche delle informazioni relative a questa variante inglese.
Si tratta di dettagli un po’ tecnici, che cercheremo di semplificare nel miglior modo possibile.
Quella che, comunemente, viene chiamata variante inglese, è identificata con questa sigla: variante VOC 202012/01, lineage B.1.1.7.
A caratterizzarla è la presenza di numerose mutazioni nella proteina spike del virus – ovvero quegli spuntoni caratteristici dei coronavirus, e da cui deriva il nome – e da mutazioni in altre regioni del genoma virale.
La variante è stata identificata per la prima volta nelle zone sud-orientali del Regno Unito nel dicembre 2020, in concomitanza con un rapido aumento nel numero di nuovi casi confermati di infezione da Sars-CoV-2.
Gli studi effettuati hanno potuto datare la sua comparsa al mese di settembre, quindi 3 mesi prima di essere poi intercettata.
Purtroppo, in seguito all’individuazione della variante inglese si è registrata, nel Regno unito, una diffusione del contagio nettamente superiore a quella degli altri Paesi.
Al 2 febbraio 2021, 80 paesi – compresa l’Italia – in tutte le Regioni dell’OMS avevano notificato la presenza di casi di infezione causati da questa variante.
Perché preoccupa la variante inglese
Come accennato all’inizio, la comparsa di una variante non stupisce né preoccupa in sé, perché è normale che un virus a RNA si modifichi nel corso del tempo.
È lo stesso che accade, ad esempio, al virus dell’influenza – ecco perché è necessario sottoporsi a un vaccino leggermente differente ogni anno – e a quello del raffreddore – ecco spiegato per quale motivo possiamo prendere un raffreddore anche più volte all’anno.
A destare preoccupazione negli scienziati rispetto alla variante inglese è stato il fatto che presenta una maggiore trasmissibilità, e si sospetta inoltre che essa si possa associare a una maggiore virulenza.
Trattandosi di una mutazione del virus che ormai da un anno siamo abituati a individuare con i test di screening, preoccupa anche la sua capacità di produrre dei falsi negativi, con tutti i problemi che questo può provocare in termini di contenimento del contagio.
I risultati dell’indagine svolta in Italia
Per quantificare la diffusione della variante inglese nel nostro Paese, è stata realizzata una prima indagine rapida coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità con il supporto della Fondazione Bruno Kessler e in collaborazione con il Ministero della Salute, le Regioni e province autonome.
“L’obiettivo di questa indagine è stato quello di identificare, tra i campioni con risultato positivo per SARS- CoV-2 in RT-PCR possibili casi di infezione riconducibili alla variante VOC 202012/01 di SARS-CoV-2.”
Ecco cosa è emerso:
- l’indagine si è articolata in un campionamento in due giorni consecutivi, il 4 e il 5 febbraio 2021 e relativo ai campioni notificati il 3 e 4 febbraio 2021;
- hanno partecipato all’indagine 16 Regioni e province autonome;
- tre Regioni/ PPAA non hanno partecipato;
- una regione invierà i dati nei prossimi giorni, mentre un’altra Regione ha le analisi ancora in corso;
- hanno complessivamente partecipato 82 laboratori;
- la variante inglese è stata identificata nell’88% delle Regioni/PPAA partecipanti;
- le stime di prevalenza regionale risultano molto diversificate, con un range compreso tra 0% e 59%;
- su 3.984 casi con infezione da virus SARS-CoV-2 confermata con real-time PCR (RT PCR), sono stati effettuati 852 sequenziamenti del gene S o sequenziamenti in NGS, di questi 495 infezioni sono risultate riconducibili a virus SARS-CoV-2 variante VOC 202012/01;
- la prevalenza nazionale della variante inglese il 4-5 febbraio 2021 è pari a 17,8%.
Le conclusioni dello studio
Questi dati hanno condotto ad alcune riflessioni su cosa potrebbe accadere nel nostro Paese, e non solo.
Eccole:
- considerata la maggior trasmissibilità della variante studiata, e considerato l’andamento in altri paesi interessati precocemente dalla diffusione della variante inglese, si può prevedere che diventerà quella dominante in italia e in Europa;
- con la vaccinazione ancora in corso, la diffusione della variante inglese potrebbe avere un impatto rilevante;
- è necessario continuare a rilevare e analizzare la circolazione delle diverse varianti del virus SARS-CoV-2;
- considerata la circolazione nelle diverse aree del paese, si raccomanda di intervenire al fine di contenere e rallentare la diffusione della variante inglese, rafforzando e/o innalzando le misure, mantenendo o riportando rapidamente i valori di Rt < a 1 e l’incidenza a valori in grado di garantire la possibilità del sistematico tracciamento di tutti i casi.
Come si può evincere da questi dati e queste conclusioni, la variante inglese può diffondersi sempre più e causare disagi alla popolazione, al Servizio Sanitario Nazionale e al piano vaccinale.
Per questo motivo, è necessario continuare a monitorare e a operare per ridurre il contagio.