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Epicondilite (gomito del tennista): cause, rimedi ed esercizi

da | Dic 5, 2025 | Ortopedia, Sanità Integrativa

In caso di dolore persistente e bruciante nella zona esterna del gomito, potrebbe trattarsi di epicondilite, comunemente nota come “gomito del tennista”

Nonostante il nome suggerisca un problema legato prettamente allo sport, si tratta in realtà di un disturbo estremamente comune che colpisce una parte significativa della popolazione, spesso a causa di attività quotidiane o lavorative.

Vediamo insieme in cosa consiste l’epicondilite, quali sono le cause più comuni, i sintomi principali e i rimedi e gli esercizi da eseguire per curare il disturbo. 

Che cos’è l’epicondilite?

L’epicondilite (o epicondilite laterale) è una tendinopatia che interessa i tendini estensori del polso e delle dita. Più precisamente, si verifica quando i tendini che collegano i muscoli dell’avambraccio alla parte esterna del gomito, una sporgenza ossea chiamata epicondilo laterale, subiscono un sovraccarico.

epicondilite laterale gomite del tennista

In pratica, stiamo parlando di una degenerazione o, in fase acuta, un’infiammazione delle fibre tendinee. La parte più colpita è di solito l’inserzione prossimale di due strutture fondamentali: l’estensore radiale breve del carpo (ERBC) e l’estensore comune delle dita. Questo processo fa perdere elasticità al tendine, compromettendo i movimenti del polso e del gomito.

Questa condizione è molto comune, riguardando l’1-3% della popolazione. L’insorgenza abituale si verifica negli adulti, in particolare nella fascia di età compresa tra i 30 e i 60 anni.

L’epicondilite è classificata come una malattia degenerativa, questo vuol dire che se non trattata correttamente, la condizione tende a peggiorare nel tempo. 

Gomito del tennista o del golfista? Facciamo chiarezza

Come accennato prima, con l’espressione gomito del tennista si indica proprio l’epicondilite.

Attenzione, però, a non confonderla con l’epitrocleite, o “gomito del golfista”. Sebbene siano entrambe lesioni da sforzo ripetitivo e colpiscano il gomito, si distinguono per la localizzazione:

  • Epicondilite laterale (gomito del tennista): colpisce il lato esterno (laterale) del gomito, coinvolgendo i tendini estensori e supinatori.
  • Epitrocleite (gomito del golfista): colpisce il lato interno (mediale) del gomito, coinvolgendo i tendini flessori e pronatori.

L’epicondilite laterale è decisamente la più frequente tra le due, con una prevalenza 5-10 volte superiore all’epitrocleite.

Le cause e i fattori di rischio dell’epicondilite

L’epicondilite non insorge quasi mai per un singolo trauma, ma è l’esito di un lento logoramento

La patogenesi è multifattoriale, ma c’è un elemento che domina su tutti: il sovraccarico funzionale.

1. Sovraccarico Funzionale

La causa principale dell’epicondilite è l’uso eccessivo e ripetuto del gomito, noto come sindrome da overuse.

Quando si sottopone il braccio a movimenti che richiedono la supinazione e l’estensione del polso in modo ripetitivo ed energico, i tendini estensori sono costretti a lavorare troppo e in condizioni di stress. Questo stress si accumula, causando nel tempo microtraumi che, a livello microscopico, portano a piccole lacerazioni del tessuto

Per capire meglio ciò che accade, può essere utile immaginare il tendine come una corda sottoposta a uno sfregamento continuo: col tempo, le fibre si sfilacciano e degenerano.

Questo uso eccessivo può portare a calcificazioni o, cosa più rilevante, alla degenerazione tendinea.

2. Attività sportive e lavorative a rischio

L’epicondilite colpisce chiunque compia frequentemente movimenti che coinvolgono gomito, polso e mano, spesso costretti a mantenere posizioni innaturali o a compiere sforzi eccessivi.

Tra i fattori scatenanti troviamo attività specifiche, in particolare le seguenti:

  • ambito sportivo: nonostante l’associazione popolare, l’epicondilite non è solo un problema di chi gioca a tennis. Altri sport che implicano la torsione o il movimento della racchetta o del braccio sono a rischio, come squash, scherma, golf e baseball. Curiosamente, la patologia è più comune negli atleti amatoriali che nei professionisti, spesso a causa di un gesto tecnico meno affinato, specialmente durante il colpo di rovescio;
  • ambito lavorativo e quotidiano: molte professioni manuali sono a rischio elevato. Tra queste troviamo muratori, pittori, sarti, cuochi, idraulici, carpentieri, meccanici e operatori ecologici. Ma anche chi svolge mansioni sedentarie non è esente: il ripetersi di semplici movimenti, come l’utilizzo costante del mouse o la digitazione sulla tastiera del computer, può essere una causa sufficiente per scatenare la patologia.

3. Fattori predisponenti e correlati

Oltre al sovraccarico funzionale, che rimane il fattore meccanico predominante, l’epicondilite è favorita anche da elementi aggiuntivi che aumentano il rischio

In particolare:

  • età: è più comune negli adulti tra i 30 e i 60 anni, riflettendo la senescenza fisiologica dei tendini dopo i 30-40 anni;
  • tecnica e attrezzatura: errori nel gesto tecnico (ad esempio, una scorretta impugnatura o l’eccessiva tensione delle corde nel tennis) o l’uso di attrezzature inadeguate;
  • stile di vita: essere fumatori o obesi può aumentare la predisposizione, così come la debolezza dei muscoli della spalla e del polso.

Limitare questi fattori di rischio e correggere i movimenti scorretti sono i primi passi fondamentali per prevenire lo sviluppo dell’epicondilite.

Quali sono i sintomi del gomito del tennista?

L’epicondilite laterale si manifesta attraverso un insieme di sintomi che, anche se inizialmente lievi, possono rendere difficili le azioni più banali della vita quotidiana.

Il sintomo principale e più indicativo è senz’altro il dolore localizzato sul gomito. Chi ne soffre, avverte una fitta principalmente sulla parte esterna e laterale del gomito (l’epicondilo).

Inizialmente, il dolore si manifesta solo quando si compiono movimenti specifici di estensione del polso o della mano contro resistenza, ma se la condizione progredisce o non viene trattata, tende ad aumentare e può irradiarsi lungo l’avambraccio, fino al polso e alla mano. Nei casi più gravi, il fastidio può persistere anche a riposo.

Ma che tipo di dolore si avverte? 

  • spesso viene percepito come acuto o bruciante;
  • si aggrava notevolmente quando si eseguono movimenti che implicano la torsione o la flessione forzata del braccio;
  • i tendini estensori dell’avambraccio diventano indolenziti e sensibili alla palpazione, specialmente in corrispondenza dell’origine del tendine comune degli estensori;
  • si avverte un indebolimento progressivo della presa (ipostenia) nell’avambraccio.

Impatto sulle attività quotidiane

La vera misura della gravità dell’epicondilite spesso non è il dolore a riposo, ma quanto compromette le tue attività di ogni giorno

Il paziente avverte difficoltà in una serie di movimenti che coinvolgono gomito, polso e mano, come i seguenti:

  • difficoltà nella presa: stringere la mano, afferrare oggetti o tenere in mano una tazza di caffè può provocare dolore;
  • problemi di rotazione: si avverte fastidio mentre si gira una chiave nella toppa, si apre un barattolo o si gira la maniglia di una porta;
  • ridotta funzionalità: l’indebolimento della presa può rendere complesse azioni lavorative, sportive e le comuni attività della vita quotidiana, come versare da bere o utilizzare una forchetta;
  • rigidità: si può avvertire una sensazione di rigidità attorno al gomito.

Sia chiaro, non sempre il dolore laterale del gomito è epicondilite. Una diagnosi corretta è importante perché i sintomi possono sovrapporsi ad altre condizioni, come la sindrome del tunnel radiale.

Come si diagnostica l’epicondilite?

Per ricevere il trattamento più efficace, il primo passo è una diagnosi precisa. Il medico specialista (ortopedico o fisiatra) seguirà un percorso diagnostico basato sull’esame clinico e, se necessario, su esami strumentali.

La diagnosi inizia con l’anamnesi, dove il medico chiederà al paziente l’entità dei sintomi, la professione e le attività sportive svolte. Questo aiuta a identificare i fattori di rischio legati al sovraccarico funzionale.

Successivamente, il medico eseguirà un esame fisico approfondito. Con la palpazione diretta dell’epicondilo laterale, il professionista accerta l’origine del dolore e cerca eventuali segni di tumefazione locale.

I test di provocazione del dolore

Per confermare la diagnosi, verranno poi eseguiti i cosiddetti test di provocazione del dolore, che cercano di riprodurre il dolore mettendo in tensione i tendini estensori. 

I più comuni sono:

  • Test di Cozen: il medico chiede di estendere il polso (come se si volesse portare il dorso della mano verso l’alto), mentre l’avambraccio è girato con il palmo verso il basso e il gomito è leggermente piegato. Il medico opporrà resistenza a questo movimento. La positività si ha se il paziente avverte dolore lungo il tendine estensore
  • Manovra di Mills: il medico afferra la mano e piega passivamente il polso e le dita verso il basso, mentre porta forzatamente l’avambraccio in pronazione e mantiene il gomito esteso. Questo allungamento passivo estremo degli estensori provoca dolore nella sede dell’epicondilo se la patologia è presente
  • Test di Maudsley: il paziente estende il dito medio contro resistenza con il gomito disteso. Se il dolore si manifesta lungo il tendine dell’estensore comune, il test è positivo

Esami strumentali

Per escludere altre cause di dolore al gomito e valutare l’entità del danno tendineo, il medico può consigliare indagini strumentali. 

Le più comuni sono le seguenti: 

  • ecografia muscolo-tendinea: è l’esame di elezione, che permette di visualizzare la struttura dei tendini, cercando segni di degenerazione, ispessimento, aree ipoecogene o la presenza di microcalcificazioni;
  • radiografia (Rx): viene eseguita per visualizzare il sistema scheletrico e per escludere eventuali patologie ossee concomitanti, come l’artrosi o la presenza di calcificazioni (osteofiti) sull’epicondilo;
  • elettromiografia (EMG) o risonanza magnetica (MRI): questi esami sono utilizzati per la diagnosi differenziale, per escludere una compressione nervosa (come la sindrome del tunnel radiale) o per identificare eventuali lesioni parziali intratendinee o neoangiogenesi. L’EMG, ad esempio, è spesso utilizzata per escludere la neuropatia del nervo ulnare.

Trattamenti e rimedi efficaci per l’epicondilite

Affrontare l’epicondilite richiede pazienza e un approccio graduale. Nella stragrande maggioranza dei casi, il disturbo si risolve attraverso un percorso terapeutico conservativo, senza ricorrere alla chirurgia. 

L’obiettivo primario è duplice: ridurre il dolore e l’infiammazione tendinea e, in un secondo momento, recuperare la forza e l’elasticità del tendine.

1. La terapia conservativa

Nessun trattamento invasivo o strumentale avrà successo se non si eliminano o modificano le attività che hanno scatenato il problema.

Per questo motivo, è di cruciale importanza limitare o eliminare l’attività che provoca dolore e lo sforzo sul tendine, permettendo al tessuto di iniziare il processo di guarigione. Riposo non significa immobilità totale, ma astensione dai movimenti ripetitivi che hanno causato il sovraccarico funzionale.

L’applicazione di ghiaccio sulla zona dell’epicondilo interessata è consigliata più volte al giorno, applicando un impacco per qualche minuto o dopo l’attività che provoca dolore. Il freddo aiuta a lenire il dolore e a ridurre l’infiammazione.

È inoltre spesso consigliato l’utilizzo di un tutore specifico per il gomito, che aiuta a distribuire la tensione, permettendo al tendine di riposare e guarire.

Infine, si raccomanda lo stretching dei muscoli estensori dell’avambraccio come parte integrante della prima fase di trattamento per allungare i muscoli estensori.

2. La terapia farmacologica e le infiltrazioni

Quando il dolore è persistente e interferisce con il riposo o le attività, il medico può consigliare un supporto farmacologico.

Nel dettaglio, può prescrivere:

  • farmaci antidolorifici e FANS: sono utili per alleviare il dolore lieve e ridurre il gonfiore;
  • ciclo di infiltrazioni: in casi particolarmente resistenti, che non rispondono alle terapie conservative iniziali, si può ricorrere alle iniezioni. Le sostanze più utilizzate sono:
    • corticosteroidi: iniezioni nella zona dolente intorno al tendine per le loro proprietà antinfiammatorie. Potrebbero non dare sollievo se il dolore persiste da più di sei settimane;
    • PRP (Plasma Ricco di Piastrine) e acido ialuronico: sono utilizzati in alternativa ai cortisonici per stimolare i processi di guarigione e rigenerazione dei tessuti degenerati.

3. Fisioterapia

Quando la terapia manuale e il riposo non bastano, o nella fase di recupero, la fisioterapia può integrare trattamenti avanzati per velocizzare la guarigione, migliorare la vascolarizzazione e l’elasticità tendinea.

Come si procede? Le opzioni sono le seguenti:

  • terapie fisiche classiche: cicli di tecarterapia, laserterapia, fisiokinesiterapia, ultrasuoni (anche a freddo) o ionoforesi possono essere utilizzati nella fase di riduzione della flogosi (infiammazione) e del dolore;
  • onde d’urto focali: sono particolarmente efficaci nel migliorare la microvascolarizzazione locale. Funzionano dirigendo una specifica frequenza di pressione sul tendine lesionato per incoraggiare e accelerare la guarigione;
  • taping neuromuscolare: può essere combinato per supportare la muscolatura;
  • tenotomia con ago: in alcuni protocolli viene menzionata la tenotomia, una procedura guidata da ultrasuoni dove si utilizza un ago per rimuovere il tessuto danneggiato.

4. L’opzione chirurgica

In caso di epicondilite, l’intervento chirurgico è un evento raro, considerato l’ultima risorsa, e viene preso in considerazione solo se i sintomi non migliorano o sono ancora gravi dopo un periodo prolungato di trattamento conservativo, tipicamente di almeno 9-12 mesi (o almeno 6 mesi in forme croniche).

Lo scopo della chirurgia è rimuovere il tessuto degenerato e cicatriziale. Le tecniche chirurgiche includono:

  • tecnica incisionale (aperta) o percutanea: prevede il distacco del tendine (intervento di Hohmann) o l’asportazione del tendine degenerato (intervento di Nirschl);
  • tecnica artroscopica: questo approccio, minimamente invasivo, permette la visualizzazione diretta delle strutture. La tecnica artroscopica consiste nell’escissione del tessuto patologico dell’Estensore Radiale Breve del Carpo (ERBC) e nella decorticazione dell’epicondilo. La procedura artroscopica è sicura ed efficace, e consente una riabilitazione precoce e un rapido ritorno al lavoro.

Purtroppo, la chirurgia non garantisce sempre un esito risolutivo, e il suo obiettivo è fornire un miglioramento soddisfacente della sintomatologia, con percentuali di successo che variano.

L’importanza degli esercizi e della riabilitazione fisioterapica

La riabilitazione è il cuore del trattamento per l’epicondilite. Una volta gestita la fase acuta del dolore e dell’infiammazione, è il momento di agire per restituire forza, resistenza ed elasticità ai tendini e ai muscoli dell’avambraccio.

L’obiettivo della fisioterapia non è solo eliminare il dolore, ma prevenire le recidive. La riabilitazione mira a recuperare la forza e la coordinazione, migliorare la funzionalità e correggere il gesto specifico che ha causato il sovraccarico. È inoltre cruciale aumentare l’elasticità del tendine e migliorarne la vascolarizzazione.

La riabilitazione si articola in fasi sequenziali, passando dalla riduzione del dolore (1ª fase), al recupero della forza e coordinazione (2ª fase), fino al recupero della funzionalità completa (3ª fase).

Vediamo come si procede.

1. Gli esercizi di allungamento (Stretching)

Come già accennato prima, gli esercizi di stretching sono essenziali per ripristinare la corretta lunghezza del tendine e vanno eseguiti con cautela, specialmente se i muscoli estensori sono rigidi.

Ecco come allungare i muscoli estensori del polso (quelli che fanno male con l’epicondilite):

  • Stretching dell’estensore del polso: iniziare con il gomito completamente disteso (dritto) e, con la mano sana (non coinvolta), afferrare il lato del pollice della mano dolente e piegare il polso verso il basso (flessione). Per aumentare l’allungamento, piegare il polso verso il mignolo e tirare delicatamente, flettendo le dita in maggiore flessione. Mantenere la posizione per 30 secondi
  • Stretching del flessore del polso: posizionare la mano interessata con il palmo rivolto verso l’alto e afferrare le dita della mano coinvolta con l’altra mano. Tirare delicatamente la mano e le dita in estensione, mantenendo il gomito dritto sul braccio coinvolto. Mantenere la posizione per 30 secondi.

3. Esercizi di rinforzo

Quando il dolore si attenua, è il momento di iniziare il rinforzo, che si basa su due tipologie di allenamento: l’allenamento eccentrico e quello concentrico

L’allenamento eccentrico, ovvero la fase di allungamento del muscolo sotto carico, è il metodo che ha mostrato maggiore efficacia nella riduzione del dolore e nel miglioramento della funzionalità nelle tendinopatie. Questi esercizi si concentrano sulla fase di abbassamento lento per rafforzare le fibre tendinee degenerate.

  • Estensione del polso con peso contro resistenza (Eccentrica): posizionare l’avambraccio sul tavolo con il palmo della mano rivolto verso il basso, lasciando il polso fuori dal bordo. Sposta il polso verso l’alto in estensione, e abbassare il polso lentamente fino alla posizione di partenza contando fino a 4 mentre si flette il polso verso il basso. L’estensione, quindi la fase di salita, dovrebbe durare meno, contando fino a 2. Si consiglia di iniziare con una resistenza lieve (ad esempio, una lattina di legumi o simile) o semplicemente contro la gravità
  • Flessione del polso contro resistenza (Eccentrica): posizionare l’avambraccio sul tavolo con il palmo della mano rivolto verso l’alto, lasciando il polso fuori dal bordo. Portare il polso in flessione. Abbassare ed estendere il polso lentamente fino alla posizione di partenza. Concentrarsi sulla fase di abbassamento contando fino a 4 estendendo il polso verso il basso
  • Lavoro combinato: l’allenamento eccentrico-concentrico combinato con la contrazione isometrica (ECTI) ha dimostrato risultati particolarmente significativi nel ridurre il dolore e migliorare la funzionalità, e può essere considerato come prima scelta di trattamento.

Per capire meglio come eseguire gli esercizi, consigliamo la visione dei video presenti sul sito del Manuale MDS

4. Altri esercizi efficaci

A quelli fin qui illustrati si aggiungono altri esercizi specifici che aiutano a recuperare la coordinazione e la forza della presa, tra cui seguenti:

  • presa e torsione con asciugamano: afferrare e premere delicatamente un asciugamano arrotolato con entrambe le mani. Torcere l’asciugamano in direzioni alternate;
  • ausili giroscopici (PowerBall): l’utilizzo di dispositivi come il PowerBall è un valido approccio terapeutico. Questi strumenti esercitano pressione sui muscoli di polso e braccio, migliorando la forza di presa e il range di movimento;
  • plastilina terapeutica: usare la plastilina terapeutica è utile per rafforzare la presa con l’avambraccio in diverse posizioni. Si possono eseguire anche esercizi di abduzione ed estensione delle dita contro la resistenza della plastilina, partendo dalla resistenza minima.

Ricordiamo agli iscritti che il Fondo FASDA provvede al pagamento delle spese per i trattamenti fisioterapici, a seguito di malattia o infortunio, esclusivamente a fini riabilitativi, sempreché siano prescritti da medico di base o da specialista la cui specializzazione sia inerente alla patologia denunciata, e siano effettuate da personale medico o paramedico abilitato in terapia della riabilitazione il cui titolo dovrà essere comprovato dal documento di spesa. 

Per tutti i dettagli, invitiamo a consultare il nostro sito web

Domande Frequenti (FAQ)

1. Quanto tempo ci vuole per guarire dall’Epicondilite? 

Il tempo di recupero varia notevolmente e dipende dalla gravità del danno tendineo e dalla disciplina nel riposo. Generalmente, l’epicondilite può durare da pochi mesi fino a oltre un anno. La maggior parte delle persone recupera in circa sei mesi, ma alcuni casi persistenti possono richiedere fino a 18 mesi.

2. L’Epicondilite è una malattia che si cronicizza? 

L’epicondilite è classificata come una malattia degenerativa che, se non viene trattata correttamente (soprattutto se si continua l’attività stressante), peggiora con il tempo. La tendenza a cronicizzarsi è elevata.

3. Quando si ricorre al trattamento chirurgico?

La chirurgia è considerata l’ultima risorsa. Viene suggerita solo se i sintomi sono gravi e persistono dopo almeno 9-12 mesi di trattamento conservativo senza successo. Viene anche considerata in forme croniche, specialmente se il dolore rimane un ostacolo nelle attività quotidiane.

4. In cosa consiste l’iniezione di Cortisone? È risolutiva?

Le iniezioni di corticosteroidi (cortisone) sono farmaci antinfiammatori che possono essere iniettati nella zona dolente intorno al tendine. Tuttavia, potrebbero non dare sollievo se il dolore è presente da più di sei settimane. Altri trattamenti iniettivi includono il PRP (Plasma Ricco di Piastrine).

5. Il dolore notturno è un sintomo comune? 

Sì, il dolore si può estendere dal gomito all’avambraccio e al polso, e può peggiorare, manifestandosi anche a riposo, specialmente durante la notte.

6. Come si può prevenire il gomito del tennista? 

La prevenzione si basa sulla limitazione dei fattori di rischio, in particolare il sovraccarico funzionale. Correggi i movimenti scorretti, evita gli sforzi eccessivi, e nel caso di sport con racchetta, assicurati di avere una tecnica corretta e un’attrezzatura adeguata (ad esempio, impugnatura della giusta dimensione o tensione delle corde non eccessiva).

ATTENZIONE:
Le informazioni qui riportate hanno carattere divulgativo e orientativo, non sostituiscono la consulenza medica. Eventuali decisioni che dovessero essere prese dai lettori, sulla base dei dati e delle informazioni qui riportati sono assunte in piena autonomia decisionale e a loro rischio.