I ricercatori dell’ISS – in uno studio condotto in collaborazione con la Facoltà di Economia dell’Università di Tor Vergata e con esperti internazionali di stime globali dell’infezione HCV del Polaris Observatory USA – sono giunti alla conclusione che, per eliminare l’Epatite C è necessario effettuare uno screening mirato su alcune fette della popolazione, considerate più a rischio, e non uno screening universale.
L’HCV, ovvero il virus dell’epatite C, rappresenta una delle principali cause di morbilità e mortalità epatica, con circa 71 milioni di infezioni a livello globale e circa 400 mila morti l’anno.
Purtroppo, l’Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di mortalità per epatite C, ecco perché si ritiene essenziale investire in test di screening con un target preciso.
Approfondiamo insieme.
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Epatite C: situazione epidemiologica in Italia
La situazione epidemiologica in Italia, in merito alla diffusione delle Epatiti (A, B, C) è monitorata dal Seieva (Sistema epidemiologico integrato delle epatiti virali acute), il quale ha pubblicato l’ultimo bollettino nel marzo del 2020.
Dal 1985, anno in cui è iniziata la raccolta dati, ad oggi, c’è stato un calo dell’incidenza, eppure il vero problema dell’Epatite, in particolare dell’Epatite C, è la mancata diagnosi.
Infatti, una fetta importante di soggetti con Epatite C non sono diagnosticati, questo rende difficile procedere a cure adeguate.
Epatite C: cosa si intende per “Key Population”
Come accennato, l’ISS suggerisce di sottoporre a test di screening una percentuale della popolazione che risulta più esposta al rischio di infezione, altrimenti definita “Key Population”.
Chi rientra in questa fattispecie?
- tossicodipendenti: si calcola che vi siano circa 150.000 infezioni a causa dell’assunzione di droga per via parenterale, ovvero quando l’ingresso avviene per vie diverse dall’assorbimento intestinale (ad es. per iniezione). (38,9% dei casi);
- carcerati;
- migranti provenienti da Paesi a rischio;
- omosessuali;
- sex workers: l’esposizione sessuale, intesa come partner sessuali multipli o mancato uso del profilattico in corso di rapporti occasionali, è alla base del 30,6% dei casi di infezione.
I soggetti che rientrano in queste categorie presentano un livello di rischio di infezione da HCV molto più elevata rispetto ad altri.
Epatite C: esposizione nosocomiale, trattamenti estetici, convivenza
Il principale fattore di rischio (pari al 42,1%), molto diffuso soprattutto prima del 2000, è rappresentato dalle cosiddette esposizioni nosocomiali, ovvero le infezioni contratte in strutture ospedaliere, ad esempio in seguito ad un intervento chirurgico.
Il 29,7% dei casi riporta un’esposizione a trattamenti estetici (come manicure, piercing e tatuaggi).
Infine, la convivenza con un soggetto infetto comporta un rischio pari al 26,7%.
Quali coorti sono più esposte all’epatite C
Alle fattispecie indicate finora vanno aggiunti anche gli individui appartenenti a determinate coorti, nello specifico i soggetti nati tra gli anni 1948-1987, periodo in cui si colloca la maggior parte degli individui con infezione non nota.
Sottoporre questi soggetti a screening consentirebbe di far emergere il sommerso e avviarli a cure e trattamenti adeguati, riducendo anche la diffusione del contagio.
In un comunicato stampa rilasciato dall’ISS, infatti, si può leggere quanto segue:
“La strategia basata sullo screening graduato, che identifica prima le popolazioni giovani (coorti di nascita 1968-1987) a rischio di trasmissione dell’HCV, per poi espandersi a quelle più anziane (coorti di nascita 1948-1967) prima che la malattia progredisca, ha prodotto il profilo di costo-efficacia più favorevole per l’Italia, ed è risultata dai modelli matematici la più efficace e sostenibile al fine di aumentare le diagnosi ad un costo nettamente inferiore rispetto allo screening universale”.
Conclusioni
Lo screening per l’Epatite C è fondamentale, perché consente di diagnosticare moltissime casi di infezione in corso della quale il paziente non è a conoscenza.
Nel 2016 l’OMS ha introdotto gli obiettivi della Strategia globale del settore sanitaria per l’epatite, per eradicare il virus HCV entro il 2030.
Purtroppo l’ostacolo principale incontrato finora è rappresentato proprio dalla mancanza di pazienti da trattare, a causa dell’assenza di una diagnosi adeguata.
Sottoporre a uno screening le key population e le coorti più a rischio permetterebbe di diagnosticare in tempo l’Epatite C e raggiungere gli obiettivi prefissati.