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Ipertiroidismo subclinico: cos’è e quando trattarlo

da | Set 25, 2025 | Endocrinologia, Malattie Infettive, Sanità Integrativa

Molte persone soffrono di patologie della tiroide senza esserne consapevoli. È il caso, ad esempio, dell’ipertiroidismo subclinico, una condizione tiroidea silente ma molto frequente, caratterizzata da un’attività eccessiva della ghiandola tiroidea che non si manifesta ancora con sintomi evidenti o alterazioni significative degli ormoni circolanti. 

Per questo motivo, passa spesso inosservata. 

Comprendere questa condizione è di fondamentale importanza, poiché rappresenta un fattore di rischio non trascurabile per future complicanze, in particolare a carico di cuore, ossa e sistema nervoso. 

Ipertiroidismo subclinico: definizione e valori di riferimento

Il termine “subclinico” significa letteralmente “sotto la soglia clinica”. A differenza dell’ipertiroidismo conclamato, dove i pazienti presentano un quadro sintomatologico chiaro e riconoscibile (perdita di peso, tachicardia, tremori, ansia), i pazienti con ipertiroidismo subclinico non hanno sintomi evidenti o, se presenti, sono molto lievi e aspecifici

Possono riferire un vago nervosismo, un’inspiegabile sensazione di affaticamento o palpitazioni occasionali, disturbi che possono essere facilmente attribuiti a stress, stanchezza o ad altre condizioni.

Ma quando si può parlare di ipertiroidismo subclinico? Si definisce tale in presenza di un livello di TSH molto basso (inferiore a 0,5 µUI/ml), mentre i livelli degli ormoni tiroidei liberi, ovvero la FT3 (triiodotironina libera) e la FT4 (tiroxina libera), rimangono nel range di normalità.

Cosa succede? Semplificando, la tiroide inizia a funzionare in modo leggermente eccessivo e autonomo, producendo una quantità di ormoni FT3 e FT4 superiore al necessario. Le cause possono essere diverse, come il morbo di Graves in fase iniziale, un gozzo multinodulare tossico o un nodulo singolo iperattivo. 

Questo lieve eccesso di ormoni tiroidei, sebbene ancora entro i limiti della normalità, viene percepito dall’ipofisi che, per compensare, riduce o sopprime la produzione di TSH nel tentativo di frenare la tiroide.

Il risultato è un quadro di laboratorio in cui il TSH è basso, ma i livelli di FT3 e FT4 non hanno ancora superato la soglia di normalità.

Per questo motivo, non si parla ancora di ipertiroidismo conclamato o manifesto.

La differenza con l’ipertiroidismo manifesto

È cruciale distinguere la forma subclinica dell’ipertiroidismo da quella manifesta

La differenza risiede sia nei valori di laboratorio sia nella presentazione clinica:

  • ipertiroidismo subclinico: TSH basso o soppresso, con FT3 e FT4 nella norma. I sintomi sono assenti o molto lievi e aspecifici;
  • ipertiroidismo manifesto: TSH basso o soppresso, con FT3 e/o FT4 elevati. I sintomi clinici (palpitazioni, perdita di peso, ansia, tremori) sono evidenti e spesso di forte impatto sulla qualità della vita.

Le cause dell’ipertiroidismo subclinico

Identificare la causa scatenante dell’ipertiroidismo subclinico rappresenta uno step essenziale nella fase diagnostica. 

La causa, infatti, determina in larga misura la potenziale evoluzione della malattia – se tenderà a risolversi spontaneamente, a rimanere stabile o a progredire verso una forma manifesta – e guida le decisioni terapeutiche, che possono variare dalla semplice osservazione periodica a un trattamento attivo. 

Le cause possono essere suddivise in due grandi categorie: esogene ed endogene.

Cause esogene

Le cause esogene (o iatrogene) sono quelle indotte da fattori esterni all’organismo, spesso legati a interventi medici o all’assunzione di sostanze specifiche.

Nello specifico, possiamo menzionare le seguenti:

  • farmaci: alcuni farmaci, in particolare quelli contenenti elevate quantità di iodio, possono indurre un’iperfunzione tiroidea;
  • eccesso di Iodio: un’assunzione eccessiva di iodio, ad esempio attraverso i mezzi di contrasto radiologici utilizzati per esami come la TAC, può scatenare un ipertiroidismo in persone predisposte, soprattutto se portatrici di un gozzo nodulare;
  • overdose di ormoni tiroidei: un dosaggio eccessivo di levotiroxina, il farmaco utilizzato per trattare l’ipotiroidismo, è una causa comune di ipertiroidismo subclinico iatrogeno. In questi casi, è sufficiente un aggiustamento della terapia per risolvere il problema.

Cause endogene

Le cause endogene sono le più frequenti e originano direttamente da un’alterazione della ghiandola tiroidea stessa.

Vediamo quali sono:

  • malattia di Graves (o Morbo di Basedow): è la causa più comune di ipertiroidismo in generale. Si tratta di una patologia autoimmune in cui il sistema immunitario produce degli autoanticorpi anomali (chiamati TRAK) che si legano ai recettori del TSH sulla tiroide. Questi anticorpi, però, non bloccano il recettore, ma lo stimolano in modo continuo e incontrollato, inducendo la ghiandola a produrre ormoni in eccesso, indipendentemente dal segnale proveniente dall’ipofisi;
  • autonomia funzionale della tiroide: è una condizione in cui una o più aree della ghiandola iniziano a produrre ormoni in modo indipendente dal controllo del TSH. Questo fenomeno è più comune con l’avanzare dell’età. Le due forme principali sono:
    • gozzo multinodulare tossico: sono presenti più noduli iperfunzionanti all’interno della tiroide, che nel loro insieme producono una quantità eccessiva di ormoni;
    • adenoma tossico (o nodulo solitario tossico): è presente un singolo nodulo benigno (adenoma) che è diventato iperattivo, e produce ormoni in autonomia;
    • tiroiditi: alcune forme di infiammazione della tiroide possono causare una fase transitoria di ipertiroidismo. Questo accade a seguito del danno infiammatorio alla ghiandola, che provoca un rilascio eccessivo di ormoni preformati e immagazzinati. A differenza del Morbo di Graves o dell’autonomia nodulare, in questo caso non vi è un’aumentata produzione di nuovi ormoni, ma un travaso di quelli già presenti. Esempi tipici sono la tiroidite subacuta (di De Quervain) o la fase iniziale della tiroidite di Hashimoto.

Conoscere le cause permette di comprendere meglio quali siano i gruppi di popolazione più esposti a questa condizione.

Quanto è diffuso?

Secondo quanto riportato dalla AME – Associazione Medici Endocrinologi, la prevalenza globale dell’ipertiroidismo subclinico mostra un range molto ampio, che va dallo 0,7% al 12,4%. Questa notevole variabilità non è casuale, ma è fortemente influenzata dall’apporto di iodio nella dieta

Nelle aree iodo-sufficienti, come Stati Uniti e Islanda, la prevalenza si attesta su valori bassi, intorno all’1-2%. Al contrario, il dato italiano è particolarmente significativo: in aree a moderata carenza iodica, si stima che ben l’8,7% delle persone con più di 65 anni presenti un quadro di ipertiroidismo subclinico

Questo legame si spiega perché la carenza di iodio favorisce lo sviluppo di autonomia tiroidea, una delle cause principali della condizione.

Chi è più a rischio?

Diversi fattori sono stati associati a un aumento del rischio di sviluppare ipertiroidismo subclinico. 

I più importanti sono:

  • età avanzata: il rischio aumenta progressivamente con l’invecchiamento, in particolare per le forme legate all’autonomia funzionale della tiroide;
  • sesso femminile: le donne sono colpite da cinque a dieci volte più spesso degli uomini, a causa della maggiore predisposizione alle malattie tiroidee, in particolare quelle autoimmuni;
  • carenza iodica: come spiegato prima, vivere in aree con un insufficiente apporto di iodio è un noto fattore di rischio per lo sviluppo di gozzo e noduli, che possono poi evolvere verso l’autonomia funzionale;
  • fumo: anche il fumo di sigaretta è stato documentato come un fattore di rischio indipendente.

Una volta identificati i soggetti a rischio, è importante sapere come questa condizione può, o non può, manifestarsi a livello clinico.

Quali sono i sintomi dell’ipertiroidismo subclinico?

Abbiamo visto che la natura dell’ipertiroidismo subclinico è spesso sfuggente e paradossale. Sebbene per definizione sia una condizione quasi priva di sintomi, esistono segnali deboli e atipici che, se riconosciuti correttamente, possono condurre a una diagnosi precoce e prevenire l’insorgenza di complicanze a lungo termine.

Nei pazienti anziani, la presentazione può essere particolarmente atipica, tanto da essere definita “ipertiroidismo apatetico”

In questi casi, i sintomi sono spesso paradossali e possono essere confusi con quadri di depressione o demenza. Invece dell’iperattività e dell’ansia tipiche del giovane, infatti, l’anziano può manifestare apatia e sintomi depressivi. Invece di una perdita di peso inspiegabile, il primo segnale potrebbe essere l’insorgenza improvvisa di una fibrillazione atriale o di uno scompenso cardiaco.

Come si arriva a una diagnosi certa?

Data l’aspecificità e la vaghezza dei sintomi, la diagnosi non può basarsi sulla clinica, ma si affida quasi interamente a un corretto percorso di indagini di laboratorio e richiede conferme nel tempo

Questo approccio è essenziale per evitare diagnosi errate, dovute a fluttuazioni temporanee del TSH, e per identificare la causa sottostante, che è il vero faro per guidare la gestione futura del paziente.

Come visto già in precedenza, la diagnosi di ipertiroidismo subclinico si basa primariamente su un preciso pattern di laboratorio:

  • un livello di TSH sierico basso o soppresso (tipicamente < 0,5 µUI/ml);
  • livelli di FT3 e FT4 che si mantengono all’interno del range di normalità.

Questo quadro indica che l’ipofisi ha ridotto o interrotto la sua stimolazione, ma la tiroide non ha ancora immesso in circolo una quantità di ormoni tale da superare i valori di soglia.

Un punto cruciale del percorso diagnostico è la conferma del dato di laboratorio. Un singolo valore di TSH basso può infatti essere un “falso allarme” e non è sufficiente per porre una diagnosi definitiva. È indispensabile ripetere i test della funzione tiroidea a distanza di 3-6 mesi. Questa attesa è necessaria perché il quadro di laboratorio può regredire spontaneamente, ad esempio a causa di farmaci o malattie acute non tiroidee. 

Solo la persistenza del TSH soppresso nel tempo permette di confermare la diagnosi.

Una volta confermata la diagnosi, il passo successivo è identificare la causa. Questo richiede esami di secondo livello che il medico può richiedere in base al sospetto clinico, tra cui i seguenti:

  • ecografia tiroidea: permette di valutare le dimensioni e la struttura della ghiandola, e di rilevare la presenza di noduli o di un gozzo diffuso;
  • scintigrafia tiroidea: utilizzando un tracciante radioattivo, questo esame visualizza l’attività funzionale della tiroide. È fondamentale per identificare aree di autonomia funzionale, come un adenoma tossico;
  • dosaggio degli autoanticorpi: la misurazione degli anticorpi anti-recettore del TSH (TRAK) è l’esame di scelta per confermare o escludere una diagnosi di Malattia di Graves.

Una diagnosi certa e completa della causa è il presupposto indispensabile per valutare correttamente i rischi associati a questa condizione.

Rischi e complicanze

Nonostante l’assenza di sintomi evidenti, l’ipertiroidismo subclinico non deve essere considerato una condizione benigna. Il suo impatto a lungo termine su organi vitali rende fondamentale una valutazione attenta del rischio. 

L’eccesso cronico, seppur minimo, di ormoni tiroidei agisce come un acceleratore silenzioso che può portare a complicanze severe nel tempo.

Ecco di seguito una tabella riepilogativa. 

Sistema Corporeo InteressatoPrincipali ComplicanzeFattore di Rischio Chiave (Valore TSH)
CardiovascolareFibrillazione atriale, scompenso cardiaco, infartoTSH < 0,1 µUI/ml
OsseoRiduzione densità ossea, aumento rischio frattureTSH < 0,1 µUI/ml
Nervoso CentraleDecadimento cognitivo, demenza, alterazioni umoreTSH < 0,1 µUI/ml

La gestione dell’ipertiroidismo subclinico

La decisione su come gestire un paziente con ipertiroidismo subclinico è una delle più dibattute in endocrinologia. Non esiste una risposta unica valida per tutti

La gestione richiede un approccio ragionato e altamente personalizzato, basato su un’attenta stratificazione del rischio del singolo paziente, che bilanci i benefici del trattamento con i potenziali effetti collaterali.

La decisione di trattare non è automatica e dipende da una valutazione integrata di tre fattori chiave: 

  1. la causa dell’ipertiroidismo;
  2. il grado di soppressione del TSH;
  3. il profilo di rischio clinico del paziente (età, sintomi, comorbidità).

Il trattamento è fortemente raccomandato nei seguenti casi:

  • un livello di TSH persistentemente soppresso, in particolare se inferiore a 0,1 µUI/ml;
  • pazienti con età superiore a 65 anni o in presenza di comorbidità significative come cardiopatie (in particolare fibrillazione atriale), osteoporosi o altri fattori di rischio cardiovascolare;
  • presenza di sintomi attribuibili all’ipertiroidismo, anche se lievi (come palpitazioni, ansia o affaticamento).

L’approccio conservativo della vigile attesa, invece, è generalmente riservato a pazienti che non rientrano nelle categorie ad alto rischio. È indicato, ad esempio, per:

  • pazienti più giovani (< 65 anni);
  • pazienti con una soppressione del TSH meno marcata (tra 0,1 e 0,5 µUI/ml);
  • pazienti senza sintomi, comorbidità o altri fattori di rischio significativi.

In questi casi, si procede con controlli periodici della funzione tiroidea per monitorare l’evoluzione.

Le opzioni terapeutiche disponibili

Qualora si decida di procedere con il trattamento, esistono diverse strategie

La scelta è personalizzata in base a causa, età e condizioni del paziente, e l’obiettivo è normalizzare la funzione tiroidea per prevenire le complicanze.

Le opzioni sono le seguenti:

  • farmaci antitiroidei: i farmaci come il Metimazolo bloccano la produzione di ormoni da parte della tiroide. Sono spesso utilizzati come prima linea o come terapia ponte per normalizzare la funzione tiroidea in preparazione a un trattamento definitivo, come il radioiodio o la chirurgia;
  • terapia con radioiodio (Iodio-131): è un trattamento ablativo che distrugge selettivamente le cellule tiroidee iperattive. È un trattamento molto efficace e spesso definitivo, considerato la terapia di scelta per l’autonomia funzionale (adenoma tossico e gozzo multinodulare). Il suo principale esito è un ipotiroidismo permanente, che richiede una terapia ormonale sostitutiva a vita;
  • chirurgia (tiroidectomia): consiste nella rimozione parziale o totale della ghiandola. È indicata in casi specifici, come la presenza di un gozzo molto grande che causa compressione, intolleranza ai farmaci o quando le altre terapie sono controindicate. Anche la tiroidectomia totale porta a un ipotiroidismo definitivo;
  • terapia sintomatica con beta-bloccanti: questi farmaci non curano la causa dell’ipertiroidismo, ma sono fondamentali per gestire rapidamente i sintomi adrenergici come palpitazioni, tremori e ansia, offrendo un sollievo immediato al paziente in attesa che i trattamenti specifici (farmaci antitiroidei, radioiodio) facciano il loro pieno effetto.

Ovviamente, la scelta definitiva è di competenza del medico endocrinologo

Domande frequenti (FAQ)

L’ipertiroidismo subclinico è una condizione pericolosa? 

Sì, pur essendo spesso asintomatico, è considerato una condizione di “rischio clinico”. Se non monitorato o trattato, può aumentare sensibilmente il rischio di complicanze, in particolare negli anziani o in presenza di un TSH molto basso. Tra i rischi principali vi sono la fibrillazione atriale, lo scompenso cardiaco, la riduzione della densità minerale ossea con aumento del rischio di fratture e il decadimento cognitivo.

Si può guarire spontaneamente dall’ipertiroidismo subclinico? 

Sì, è possibile una regressione spontanea verso una normale funzione tiroidea. Per questo motivo, la diagnosi non è mai immediata ma richiede la conferma degli esami del sangue a distanza di 3-6 mesi, proprio per verificare se l’alterazione dei valori non sia stata transitoria.

Quali sono i valori di TSH che definiscono l’ipertiroidismo subclinico? 

Si parla di ipertiroidismo subclinico quando si riscontrano livelli di TSH bassi o soppressi (generalmente < 0,5 µUI/ml) a fronte di valori degli ormoni tiroidei liberi (FT3 e FT4) ancora nel range di normalità. Questa condizione indica che la tiroide sta iniziando a lavorare in modo eccessivo, ma non ancora al punto da alterare i livelli ormonali circolanti.

L’ipertiroidismo subclinico fa dimagrire? 

La perdita di peso è un sintomo tipico dell’ipertiroidismo manifesto. La forma subclinica, invece, è definita proprio dall’assenza di sintomi evidenti o dalla presenza di disturbi molto lievi e aspecifici. Di conseguenza, un dimagrimento significativo non è una caratteristica comune di questa condizione, sebbene in alcuni pazienti con sintomi lievi possa verificarsi.

Esiste una dieta specifica da seguire? 

Non esiste una dieta specifica per trattare questa condizione. Tuttavia, un’assunzione eccessiva di iodio (ad esempio tramite farmaci, mezzi di contrasto o alcuni integratori) può essere una causa o un fattore di peggioramento dell’ipertiroidismo. È quindi importante mantenere un apporto di iodio adeguato ma non eccessivo.

Devo iniziare una terapia anche se non ho sintomi? 

Non sempre. La decisione di trattare o semplicemente monitorare la condizione è personalizzata e dipende da diversi fattori. Il trattamento è fortemente raccomandato, anche in assenza di sintomi, nei pazienti con TSH molto basso (< 0,1 µUI/ml), di età superiore ai 65 anni o con la presenza di altre patologie come cardiopatie o osteoporosi. Negli altri casi, può essere sufficiente un controllo periodico.

ATTENZIONE:
Le informazioni qui riportate hanno carattere divulgativo e orientativo, non sostituiscono la consulenza medica. Eventuali decisioni che dovessero essere prese dai lettori, sulla base dei dati e delle informazioni qui riportati sono assunte in piena autonomia decisionale e a loro rischio.