Durante la gravidanza è prassi sottoporsi a diversi esami, tra cui quello per individuare una eventuale infezione da citomegalovirus (CMV), un virus appartenente alla famiglia degli Herpes Virus, estremamente diffuso a livello globale e che, nella maggior parte delle persone, non causa sintomi evidenti o problemi di salute gravi.
Tuttavia, durante la gravidanza, l’infezione da CMV può avere conseguenze importanti sia per la madre che per il bambino, in particolare a causa del rischio di infezione congenita.
Secondo i dati riportati sul sito Epicentro dell’Istituto Superiore di Sanità, il CMV è
“un’importante causa di patologie fetali, anche gravi se trasmesso al feto durante la gravidanza, infatti risulta essere la principale causa di infezione congenita nei Paesi sviluppati, con un’incidenza compresa tra lo 0,3% e il 2,3% di tutti i nati vivi. In Italia l’incidenza è variabile tra lo 0,57% e l’1%.”
Per le donne incinte, infatti, il rischio di una riattivazione o di una nuova infezione è una preoccupazione concreta.
Per questo motivo, verificare la positività o negatività della futura mamma al citomegalovirus è di estrema importanza, tant’è vero che l’esame del sangue dedicato viene ripetuto più volte nel corso dei tre trimestri di gravidanza.
Approfondiamo insieme, e vediamo cosa c’è da sapere sul rapporto tra gravidanza e citomegalovirus e come comportarsi a riguardo.
Indice dei contenuti
- Cos’è il citomegalovirus (CMV)
- Come si trasmette?
- Situazioni di rischio in gravidanza
- Citomegalovirus in gravidanza: perché è importante?
- Infezione primaria e riattivazione (o secondaria)
- Trasmissione da madre a figlio
- Sintomi per la madre e per il bambino
- Complicanze per la madre e per il bambino
- Diagnosi e test per il citomegalovirus in gravidanza
- Cosa fare se si contrae il citomegalovirus in gravidanza?
Cos’è il citomegalovirus (CMV)
Come accennato nell’introduzione, il citomegalovirus (CMV) è un virus appartenente alla famiglia degli Herpes Virus, la stessa che contiene anche l’herpes simplex e il virus della varicella-zoster.
Questo virus è molto diffuso nella popolazione mondiale: secondo il già citato Epicentro dell’ISS,
“si stima che nel corso dell’esistenza dal 40 all’80% della popolazione nei Paesi industrializzati e la quasi totalità della popolazione nei Paesi in via di sviluppo, vada incontro a un’infezione da CMV, che di norma evolve senza sintomi e si traduce in una infezione latente. In Italia circa il 70-80% della popolazione adulta risulta positiva agli anticorpi anti-CMV.”
Una volta contratto, il CMV rimane latente all’interno dell’organismo per tutta la vita, ma la sua particolarità consiste nella capacità di riattivarsi in particolari condizioni, come nel caso di un indebolimento del sistema immunitario, scenario molto rilevante in gravidanza.
Come si trasmette?
Il CMV si trasmette principalmente attraverso il contatto con fluidi corporei infetti, come saliva, urine, sangue, lacrime, secrezioni genitali e latte materno, e si diffonde facilmente nelle situazioni in cui le persone condividono spazi stretti o entrano frequentemente in contatto ravvicinato con altre persone.
Le modalità di trasmissione sono le seguenti:
- contatto diretto: si può diffondere attraverso il contatto diretto con fluidi corporei infetti, come nel caso dei rapporti sessuali, dei baci o del contatto con oggetti contaminati;
- scarsa igiene: nelle attività quotidiane che coinvolgono bambini, come il cambio dei pannolini o l’alimentazione, le mani possono venire a contatto con saliva o urina infetta, aumentando il rischio di trasmissione;
- trasfusione di sangue e trapianti: può essere trasmesso attraverso trasfusioni di sangue infetto o trapianti di organi provenienti da donatori infetti.
Com’è facile intuire, alcune di queste modalità di trasmissione sono prevenibili, nei limiti del possibile, ad esempio attraverso una buona igiene personale e l’impiego di sistemi di protezione efficaci (mascherina, profilattici, guanti, ecc…).
Situazioni di rischio in gravidanza
Le donne incinte che lavorano o vivono a stretto contatto con bambini piccoli, come in asili nido e scuole materne, sono particolarmente esposte al rischio di infezione, poiché i bambini spesso sono portatori del virus e possono trasmetterlo tramite saliva e urina.
È quindi fondamentale che seguano pratiche igieniche scrupolose per ridurre il rischio di contagio.
Citomegalovirus in gravidanza: perché è importante?
Durante la gravidanza, un’infezione da citomegalovirus (CMV) rappresenta un rischio significativo per il feto, poiché il virus può attraversare la barriera placentare e causare infezione congenita.
Questa condizione si verifica quando il CMV viene trasmesso dalla madre al feto, spesso con esiti variabili che dipendono dalla fase della gravidanza in cui avviene la trasmissione e dal tipo di infezione materna (prima infezione o riattivazione di un’infezione latente).
Infezione primaria e riattivazione (o secondaria)
Come detto, la gravità dei rischi per il feto dipende anche dal tipo di infezione materna, che può essere di due tipi:
- infezione primaria: se una donna contrae il CMV per la prima volta durante la gravidanza, il rischio di trasmissione al feto è maggiore (varia fra il 30% e il 40% nel primo e secondo trimestre e fra il 40% e il 70% nel terzo trimestre) e con esso la probabilità di complicanze;
- riattivazione o infezione secondaria: in genere il rischio di trasmissione è minore (1-2%) e le conseguenze per il feto sono generalmente meno severe.
Essere consapevoli dell’esistenza del CMV e della sua potenziale pericolosità durante la gravidanza è di fondamentale importanza, ed è essenziale che le future mamme vengano informate a dovere dal proprio medico e guidate verso un percorso di prevenzione e/o di gestione accurato.
Trasmissione da madre a figlio
Abbiamo spiegato che l’infezione da CMV assume una particolare rilevanza durante la gravidanza, perché gli effetti sulla salute del bambino possono essere molto gravi.
Nello specifico, la madre positiva al virus può trasmetterlo al bambino in tre differenti fasi della sua vita, ovvero:
- infezione prenatale: si verifica prima della nascita, quando il CMV passa dalla madre al feto attraverso la placenta. Questo può avvenire in caso di un’infezione primaria della madre o di una riattivazione di un’infezione preesistente. L’infezione prenatale è particolarmente rischiosa poiché il virus può compromettere lo sviluppo del feto e causare un’infezione congenita, con conseguenze che includono sordità, problemi neurologici, e altre complicanze a lungo termine;
- infezione perinatale: avviene al momento della nascita o subito dopo, durante il passaggio del neonato nel canale del parto. Il neonato può contrarre il CMV dalle secrezioni cervicali e vaginali della madre se il virus è attivo. Un’altra possibile fonte di infezione perinatale è l’allattamento al seno, poiché il CMV può essere presente nel latte materno, specialmente se la madre ha avuto una riattivazione del virus. Sebbene questa modalità di trasmissione possa infettare il neonato, l’infezione perinatale tende a essere meno grave rispetto a quella prenatale, perché il sistema immunitario del bambino è più sviluppato rispetto alla fase fetale;
- infezione postnatale: avviene dopo la nascita, solitamente attraverso il contatto diretto con fluidi corporei infetti di persone che hanno il CMV. Per i neonati, l’infezione postnatale può derivare dal contatto con la saliva o le urine di persone infette (come altri bambini o membri della famiglia). Nei bambini e negli adulti con un sistema immunitario sano, l’infezione postnatale generalmente causa sintomi lievi o è asintomatica. Tuttavia, per i neonati prematuri o per individui con un sistema immunitario compromesso, può comportare rischi maggiori.
Queste modalità di trasmissione non fanno altro che confermare come il rischio di infezione sia presente in diverse fasi, richiedendo misure preventive specifiche per ogni fase per proteggere la salute del neonato.
Sintomi per la madre e per il bambino
Nella maggior parte dei casi, l’infezione da CMV nella madre è asintomatica o si presenta con sintomi lievi e poco specifici, simili a quelli di una comune infezione virale.
Tra i più comuni ci sono:
- febbre lieve o moderata;
- stanchezza eccessiva;
- mal di gola;
- dolori muscolari e articolari;
- ingrossamento dei linfonodi, soprattutto nella zona del collo.
In alcuni casi, i sintomi sono così lievi da passare inosservati, e molte donne non si rendono conto di aver contratto il virus. Tuttavia, anche in assenza di sintomi, il virus può essere trasmesso al feto.
Nel caso di un’infezione congenita, il bambino può nascere asintomatico (circa l’85-90% dei casi) o presentare sintomi che variano in base alla gravità dell’infezione e alla fase della gravidanza in cui è avvenuto il contagio.
Il 10-15% del totale dei neonati infetti manifesta sintomi già alla nascita, tra cui:
- ipotrofia: peso alla nascita inferiore alla norma;
- ittero: colorazione gialla della pelle e degli occhi;
- microcefalia: testa di dimensioni ridotte;
- calcificazioni intracraniche: visibili tramite ecografia o TAC;
- epatosplenomegalia: ingrossamento del fegato e della milza;
- petecchie: macchie rosse sulla pelle dovute a piccoli sanguinamenti.
Altri neonati possono essere asintomatici alla nascita ma sviluppare problemi in seguito, soprattutto perdita dell’udito (circa il 10%).
Complicanze per la madre e per il bambino
Per le donne in gravidanza con un sistema immunitario sano, l’infezione da CMV raramente porta a complicanze gravi. Tuttavia, per le donne immunocompromesse (ad esempio, quelle con HIV o in trattamento immunosoppressivo), l’infezione da CMV può comportare complicazioni più gravi, tra cui polmonite, epatite e problemi neurologici, come encefalite.
Le complicanze per il bambino, soprattutto nei casi di infezione congenita, possono essere invece gravi e durature.
Tra le principali ci sono:
- perdita dell’udito: è la complicanza più comune, con il rischio di sordità neurosensoriale che può manifestarsi anche diversi mesi o anni dopo la nascita;
- disturbi del neurosviluppo: come ritardo mentale, disabilità cognitive e difficoltà di apprendimento;
- disturbi motori: alcuni bambini possono sviluppare paralisi cerebrale o difficoltà motorie;
- problemi visivi: la più comune è la corioretinite (infiammazione della retina), che può causare problemi di vista o cecità;
- epilessia: possono manifestarsi crisi epilettiche come complicanza neurologica;
- ritardo di crescita: sia intrauterino sia postnatale, con possibile deficit nella crescita fisica del bambino.
Conoscere i sintomi e le complicanze aiuta a comprendere l’importanza di una diagnosi precoce e di un monitoraggio attento per ridurre i rischi legati al citomegalovirus durante la gravidanza.
Diagnosi e test per il citomegalovirus in gravidanza
La diagnosi di infezione da citomegalovirus in gravidanza è fondamentale per identificare precocemente un eventuale rischio di trasmissione al feto e valutare le possibili complicanze.
Per questo, esistono vari test che possono confermare la presenza del virus sia nella madre che nel feto.
La diagnosi nella donna incinta si effettua principalmente tramite esami del sangue volti a individuare la presenza di anticorpi specifici contro il virus:
- test sierologici: rilevano la presenza di anticorpi IgM e IgG. La presenza di anticorpi IgM indica un’infezione recente o in corso, mentre gli anticorpi IgG suggeriscono un’infezione passata;
- PCR (Reazione a catena della polimerasi): permette di rilevare la presenza del DNA virale nel sangue della madre e confermare un’infezione attiva.
Se la madre risulta positiva al CMV e l’infezione è confermata come recente, è possibile effettuare test prenatali per valutare se il virus è stato trasmesso al feto. Nello specifico:
- amniocentesi: consiste nel prelievo di un campione di liquido amniotico (solitamente tra la 20ª e la 22ª settimana di gestazione) per verificare la presenza di DNA del CMV. La positività nel liquido amniotico suggerisce un’infezione fetale, ma non predice con certezza l’entità delle conseguenze per il bambino;
- ecografia fetale: anche se non specifica per il CMV, può rilevare eventuali anomalie nello sviluppo fetale, come calcificazioni cerebrali, ritardo di crescita intrauterino, microcefalia, che possono essere indicative di un’infezione.
Infine, dopo la nascita, i neonati a rischio possono essere sottoposti a test per confermare un’infezione congenita da CMV. Nello specifico, si esegue un tampone salivare o un test delle urine, attraverso i quali è possibile rilevare il DNA del virus nei fluidi corporei del neonato.
Per confermare che si tratti di un’infezione congenita, è importante che il test venga effettuato entro le prime 2-3 settimane di vita.
Cosa fare se si contrae il citomegalovirus in gravidanza?
Se viene diagnosticata un’infezione da citomegalovirus (CMV) durante la gravidanza, è normale sentirsi preoccupati per i rischi potenziali. Tuttavia, ci sono diverse misure e opzioni che possono aiutare a gestire la situazione e ridurre i rischi per il feto.
In caso di infezione materna da CMV, il medico potrà raccomandare un monitoraggio più attento della gravidanza per rilevare precocemente eventuali segni di infezione fetale, attraverso ecografie fetali frequenti e il ricorso eventuale all’amniocentesi, come già accennato prima.
Purtroppo, al momento non esiste una cura definitiva per il citomegalovirus, ma alcune terapie possono contribuire a ridurre i rischi di trasmissione al feto e a gestire l’infezione. Ci riferiamo, in particolare, a:
- immunoglobuline: alcune ricerche suggeriscono che la somministrazione di immunoglobuline specifiche anti-CMV possa ridurre il rischio di trasmissione fetale o attenuare gli effetti del virus sul feto. Tuttavia, l’efficacia delle immunoglobuline è ancora oggetto di studio e deve essere valutata caso per caso;
- farmaci antivirali: nei casi gravi, alcuni antivirali possono essere prescritti per cercare di contenere l’infezione. Tuttavia, il loro utilizzo in gravidanza è limitato e deve essere valutato attentamente con il medico per bilanciare benefici e potenziali rischi per la madre e il feto.
Se l’infezione viene confermata nel neonato alla nascita, è possibile avviare un trattamento tempestivo per ridurre le complicanze a lungo termine, attraverso la somministrazione di antivirali per limitare l’impatto del virus sul sistema nervoso e sull’udito. Il trattamento, però, deve essere deciso e gestito da uno specialista.