Epilessia: cause, sintomi, diagnosi, cura

da | Mag 10, 2022 | Sanità Integrativa | 0 commenti

L’epilessia è una malattia cronica non trasmissibile del cervello che colpisce persone di tutte le età e, secondo i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo ci sono circa 50 milioni di persone che ne soffrono, rendendola una delle malattie neurologiche più comuni a livello globale.

Il rischio di morte prematura nelle persone con epilessia è fino a tre volte superiore rispetto alla popolazione generale, ma se diagnosticata e trattata in modo adeguato circa il 70% delle persone affette da questa patologia potrebbero vivere una vita normale, senza subire mai nessuna crisi. 

Il Piano Sanitario del Fondo FASDA prevede la copertura delle spese sostenute per sottoporsi ad interventi di neurochirurgia per via craniotomica o transorale per molteplici patologie, tra cui l’epilessia focale

Approfondiamo insieme l’argomento e cerchiamo di capire cos’è l’epilessia, quali sono le cause, i sintomi, come si diagnostica e quali sono le possibili cure

Cos’è l’epilessia

Come accennato nell’introduzione, l’epilessia è un disturbo del cervello che si manifesta tramite convulsioni ricorrenti e non provocate

Cosa vuol dire “non provocate”? Semplicemente che questi episodi non sono il risultato di azioni compiute dal soggetto, ma sono spontanee e, in alcuni casi, causate da altre condizioni, configurandosi quindi come un sintomo di qualcosa di più ampio. 

La parola epilessia deriva dal greco dal greco ἐπιληψία (epilambanein), che corrisponde in italiano all’espressione “essere colto di sorpresa”, proprio a indicare la natura stessa delle crisi epilettiche, che si presentano in modo improvviso, in alcuni casi annunciate da quella che viene definita “aura”, che consiste nella presenza di alcuni sintomi come senso di nausea, difficoltà digestive, alterazione dello stato di coscienza e disturbi visivi.

Vivere una crisi epilettica non equivale a soffrire di epilessia. Infatti, per essere diagnosticata come tale, deve presentarsi in almeno due o più episodi.

Secondo le linee guida elaborate dalla ILEA – International League Against Epilepsy, l’epilessia è una malattia cerebrale definita da una delle seguenti condizioni: 

  • almeno due crisi non provocate a distanza di più di 24 ore;
  • una crisi non provocata e una probabilità di ulteriori crisi simile al rischio generale di recidiva (almeno 60%) dopo due crisi non provocate, nei successivi 10 anni;
  • diagnosi di una sindrome epilettica. 

È importante ricordare che non tutte le convulsioni sono il risultato dell’epilessia. Spesso, infatti, le cause sono da ricondurre a una lesione cerebrale, ad esempio un tumore, o ad un tratto familiare, ma molto spesso la causa è completamente sconosciuta.

Cosa succede nei soggetti affetti da epilessia

Abbiamo visto che l’epilessia è un disturbo neurologico caratterizzato dalla presenza di crisi epilettiche, attacchi improvvisi che provocano le classiche convulsioni che siamo abituati associare a questa patologia. 

Ma cosa succede, di preciso?

Le convulsioni comportano improvvise e temporanee (durano pochi secondi o qualche minuto) esplosioni di attività elettrica nel cervello che cambiano o interrompono il modo in cui i messaggi vengono inviati tra le cellule cerebrali. 

Queste scariche elettriche possono causare cambiamenti involontari nel movimento o nelle funzioni del corpo, nel comportamento o nel livello di consapevolezza e coscienza.

L’intensità delle crisi epilettiche varia di soggetto in soggetto, ma è importante non confondere le convulsioni con l’epilessia, come se fossero sinonimi. 

In effetti, l’epilessia si manifesta attraverso le crisi convulsive, ma queste ultime potrebbero anche essere un sintomo di altre condizioni, quindi non è corretto compiere l’equazione convulsioni=epilessia, perché le origini del problema potrebbero essere differenti. 

Quali sono le cause dell’epilessia

L’epilessia è una malattia non trasmissibile, ovvero non contagiosa, della quale non è sempre nota la causa

Secondo quanto riportato dall’OMS, infatti, non si conoscono le cause di circa la metà dei casi di epilessia a livello globale.

Nella restante metà dei casi, invece, l’epilessia risulta solo un sintomo di cause di tipo strutturali, genetiche, infettive, metaboliche e/o immunitarie

Ecco alcune delle cause principali:

  • danno cerebrale da cause prenatali o perinatali;
  • anomalie congenite o condizioni genetiche con malformazioni cerebrali associate;
  • grave trauma cranico;
  • ictus che limita la quantità di ossigeno al cervello;
  • infezione del cervello come meningite, encefalite o neurocisticercosi;
  • alcune sindromi genetiche;
  • tumore al cervello;
  • disturbi dello sviluppo, come autismo e neurofibromatosi;
  • ipertermia. La febbre alta potrebbe provocare delle crisi epilettiche, denominate convulsioni febbrili;
  • alterazioni metaboliche: alti livelli ematici elevati di zucchero (iperglicemia) o sodio, bassi livelli ematici di zucchero (ipoglicemia), calcio, magnesio, o sodio;
  • altre patologie, come insufficienza renale o insufficienza epatica, che possono portare a disfunzione cerebrale (encefalopatia), e carenza di vitamina B6 nei neonati.

A queste cause vanno aggiunti una serie di potenziali fattori di rischio, elencati dall’Istituto Superiore di Sanità sul portale issalute.it e che riportiamo di seguito:

  • età: la comparsa dell’epilessia è più comune durante la prima infanzia e dopo i 60 anni, ma può avvenire a qualsiasi età;
  • storia familiare: avere dei familiari già malati di epilessia comporta un rischio aumentato di esserne colpiti;
  • gravi lesioni cerebrali post-traumatiche: i danni alla testa sono responsabili di alcuni casi di epilessia;
  • ictus e altre malattie vascolari;
  • demenza, che può aumentare il rischio di epilessia negli anziani;
  • infezioni cerebrali come, ad esempio, meningiti e, soprattutto, encefaliti;
  • effetti neurostimolanti di alcol e abuso di sostanze psicotrope, sia per eccesso di consumo che per improvvisa cessazione dell’assunzione in persone che hanno sviluppato una dipendenza fisica;
  • luce intermittente.

Come si può evincere da questi due elenchi, alcune cause rappresentano allo stesso tempo un elemento di rischio, alla cui base però ci sono però anche alcuni fattori modificabili. Ad esempio, evitando l’abuso di sostanze o di alcolici, seguendo una dieta equilibrata, curando le infezioni in tempo utile, si possono prevenire molte crisi epilettiche

Quali sono i sintomi principali

Abbiamo visto che l’epilessia è caratterizzata da questi attacchi convulsivi improvvisi, e molto spesso non sono preceduti da nessun sintomo o campanello d’allarme che potrebbe mettere il soggetto in guardia per affrontarlo nel modo migliore possibile (ad esempio stendendosi e allontanandosi da situazioni pericolose). 

In alcuni casi, però, come già accennato, si presenta una sorta di aura, alcuni sintomi che potrebbero indicare il sopraggiungere di una crisi: 

  • stato di confusione temporanea;
  • sguardo perso a fissare un punto;
  • contrazione prolungata dei muscoli della schiena e del tronco con opistotono; 
  • contrattura dei muscoli respiratori, degli arti e del capo;
  • scatti involontari delle braccia e delle gambe;
  • perdita di coscienza;
  • sintomi psichici.

I sintomi variano a seconda del tipo di attacco. Nella maggior parte dei casi, una persona con epilessia tenderà ad avere lo stesso tipo di crisi ogni volta, quindi i sintomi saranno simili da episodio a episodio.

I medici generalmente classificano le crisi come focali o generalizzate, in base a come e dove inizia l’attività cerebrale anormale.

I diversi tipi di crisi epilettiche: epilessia focale e generalizzata

L’epilessia si divide in due categorie, in base al tipo di crisi convulsiva che colpisce il paziente. 

  • Epilessia focale o parziale;
  • epilessia generalizzata. 

A queste due si aggiungono anche le crisi epilettiche ad esordio sconosciuto, quando mancano quindi informazioni sull’esordio delle convulsioni.

Approfondiamo insieme la differenza tra queste differenti tipologie di crisi epilettiche

1. Epilessia focale o parziale

Si parla di epilessia focale o parziale quando le crisi hanno inizio in un’area circoscritta o in un gruppo di cellule in un lato del cervello, ad esempio in una parte del lobo temporale o frontale.

Questo tipo di crisi epilettiche si dividono a loro volta in due: 

  1. convulsioni senza perdita di coscienza: quando la persona che subisce l’attacco epilettico è sveglia e consapevole durante la crisi. In questo caso si parla di crisi consapevole focale. Possono alterare le emozioni o cambiare l’aspetto, l’odore, la sensazione, il gusto o il suono delle cose. Alcune persone sperimentano il deja vu. Questo tipo di crisi può anche provocare scatti involontari di una parte del corpo, come un braccio o una gamba, e sintomi sensoriali spontanei come formicolio, vertigini e luci lampeggianti;
  2. focali o parziali complesse: la consapevolezza in questi casi è compromessa, e la persona appare confusa durante la crisi focale. Durante una crisi focale con ridotta consapevolezza, il soggetto potrebbe fissare lo spazio e non rispondere all’ambiente circostante o eseguire movimenti ripetitivi, come strofinare le mani, masticare, deglutire o camminare in cerchio. 

2. Epilessia generalizzata

Si parla di epilessia generalizzata quando le convulsioni colpiscono contemporaneamente entrambi i lati del cervello o gruppi di cellule su entrambi i lati del cervello. 

Ne esistono di diversi tipi:

  • convulsioni di assenza: le crisi di assenza, precedentemente note come crisi epilettiche di piccolo male, si verificano in genere nei bambini. Sono caratterizzati dal fissare lo spazio con o senza lievi movimenti del corpo, come sbattere le palpebre o schioccare le labbra, e durano solo pochi secondi. Questi attacchi possono verificarsi a grappolo, presentandosi anche molte volte al giorno e causando una breve perdita di consapevolezza;
  • convulsioni toniche: le convulsioni toniche causano rigidità muscolare e possono influenzare la coscienza. Queste convulsioni di solito colpiscono i muscoli della schiena, delle braccia e delle gambe e possono provocare la caduta del soggetto;
  • convulsioni atoniche: note anche come crisi epilettiche, causano una perdita del controllo muscolare. Poiché questo colpisce molto spesso le gambe, spesso provoca la caduta improvvisa del soggetto;
  • convulsioni cloniche: sono associate a movimenti muscolari a scatti ripetuti o ritmici. Questi attacchi di solito colpiscono il collo, il viso e le braccia;
  • convulsioni miocloniche: di solito si manifestano come brevi scatti o contrazioni improvvise e colpiscono in genere la parte superiore del corpo, le braccia e le gambe;
  • convulsioni tonico-cloniche: sono il tipo più drammatico di crisi epilettica. Possono causare una brusca perdita di coscienza e irrigidimento, contrazioni e tremore del corpo. A volte causano perdita di controllo della vescica o il mordersi la lingua.

Vediamo, ora, come si giunge alla diagnosi di epilessia

Come si esegue la diagnosi

Abbiamo già spiegato che la presenza di un episodio singolo di crisi epilettica non equivale ad una diagnosi di epilessia

Per giungere a questa conclusioni, è necessario eseguire alcuni esami specifici, tra cui: 

  • un esame neurologico, con il quale il medico può testare il comportamento, le capacità motorie, la funzione mentale e altre aree per diagnosticare la condizione e determinare il tipo di epilessia che il soggetto potrebbe avere;
  • analisi del sangue. Il medico potrebbe prelevare un campione di sangue per verificare la presenza di segni di infezioni, condizioni genetiche o altre condizioni potenzialmente associate a convulsioni;
  • elettroencefalogramma (EEG), che prevede l’impiego di elettrodi che registrano l’attività elettrica del cervello. I soggetti affetti da epilessia presentano spesso cambiamenti nel normale schema delle onde cerebrali, anche quando non si subisce un attacco;
  • EEG ad alta densità (HDEEG), una variante dell’EEG che prevede l’impiego di più elettrodi posizionati in modo più ravvicinato tra loro;
  • tomografia computerizzata (TC);
  • risonanza magnetica (RM);
  • risonanza magnetica funzionale;
  • tomografia a emissione di positroni (PET);
  • tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli (SPECT);
  • test neuropsicologici.

Sarà il medico specialista a stabilire quali esami condurre per eseguire una diagnosi di epilessia. 

Come si cura l’epilessia

L’epilessia è una condizione che, se diagnosticata in tempo utile, può essere trattata con buoni risultati

La maggior parte delle persone colpite dall’epilessia beneficia di farmaci anti-epilettici da prendere per un periodo abbastanza lungo, che varia ovviamente di paziente in paziente, riuscendo a vivere senza subire nessun attacco convulsivo

Laddove la terapia farmacologica non dovessero funzionare, allora si può valutare un intervento chirurgico, in particolare quando i test mostrano due aspetti:

  • le convulsioni hanno origine in una piccola area ben definita del cervello;
  • l’area del cervello da operare non interferisce con funzioni vitali come la parola, il linguaggio, le funzioni motorie, la vista o l’udito.

Oltre ai farmaci e alla chirurgia, esistono potenziali terapie alternative:

  • stimolazione del nervo vago: i medici impiantano un dispositivo chiamato stimolatore del nervo vago sotto la pelle del torace, simile a un pacemaker cardiaco, collegato al nervo vago nel collo. Questo dispositivo invia impulsi elettrici attraverso il nervo vago e al cervello. Non è chiaro come questo inibisca le convulsioni, ma il dispositivo di solito può ridurre le convulsioni del 20-40%. Non è una soluzione risolutiva, molti soggetti infatti devono comunque prendere i farmaci anti-epilettici;
  • dieta chetogenica: alcuni bambini con epilessia sono stati in grado di ridurre le loro convulsioni seguendo una dieta rigorosa ad alto contenuto di grassi e povera di carboidrati;
  • stimolazione cerebrale profonda: i chirurghi impiantano elettrodi in una parte specifica del cervello, in genere il talamo. Gli elettrodi sono collegati a un generatore impiantato nel torace. Il generatore invia regolarmente impulsi elettrici al cervello a intervalli di tempo e può ridurre le convulsioni. La stimolazione cerebrale profonda viene spesso utilizzata per le persone le cui convulsioni non migliorano con i farmaci;
  • neurostimolazione reattiva: questi dispositivi impiantabili, simili a un pacemaker, possono aiutare a ridurre significativamente la frequenza con cui si verificano le convulsioni, analizzando i modelli di attività cerebrale per rilevare le crisi quando iniziano e fornendo una carica elettrica o un farmaco per fermare la crisi prima che causi menomazione. 

Come indicato dalla già citata ILEA, l’epilessia è considerata risolta nei soggetti che avevano una sindrome epilettica età-dipendente ma che hanno poi superato il limite di età applicabile, o in quelli che sono rimasti liberi da crisi per almeno 10 anni, in assenza di terapia antiepilettica negli ultimi 5 anni.

ATTENZIONE:
Le informazioni qui riportate hanno carattere divulgativo e orientativo, non sostituiscono la consulenza medica. Eventuali decisioni che dovessero essere prese dai lettori, sulla base dei dati e delle informazioni qui riportati sono assunte in piena autonomia decisionale e a loro rischio.

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