fbpx

Parto in acqua: pro e contro

da | Mar 13, 2025 | Malattie Infettive, Sanità Integrativa

Introdotto negli anni ’60 dal dottor Igor Charkovsky, il parto in acqua ha conquistato nel corso del tempo una certa popolarità, per quanto rimanga una pratica alternativa e minoritaria, sia in termini relativi che assoluti. 

Si tratta, come vedremo più nel dettaglio, di una procedura che presenta diversi vantaggi, per il neonato e per la mamma, ma espone anche ad alcuni rischi da conoscere al fine di prendere una decisione accurata.

Approfondiamo insieme, e cerchiamo di capire in cosa consiste il parto in acqua, quali sono i pro e i contro della procedura, quando è consigliata e quando, invece, non può essere eseguita

Cosa si intende per “parto in acqua”?

Con l’espressione “parto in acqua” si fa riferimento alla pratica di affrontare il travaglio e il parto immergendosi in una vasca piena di acqua calda, tramite la quale si cerca di offrire una transizione più delicata per il neonato, richiamando l’ambiente acquatico e protettivo dell’utero materno. Inoltre, si sfruttano le proprietà rilassanti e antidolorifiche dell’acqua calda per la madre durante il travaglio.

Ma come funziona? Com’è facile intuire, si svolge immergendo la donna in una vasca d’acqua calda durante il travaglio e/o il parto. Vediamo più nel dettaglio come si procede:

  • ambiente: l’ambiente in cui avviene il parto in acqua è generalmente caldo (tra i 22° e i 24°) e accogliente, con un numero limitato di persone presenti. Potrebbero essere utilizzati rivestimenti monouso per la vasca. È presente un monitor per rilevare il battito cardiaco fetale adatto all’uso in acqua e un termometro per controllare la temperatura della madre e dell’acqua;
  • temperatura dell’acqua: la temperatura dell’acqua viene idealmente scelta dalla partoriente, ma per la nascita è consigliata una temperatura intorno ai 36°-37°C e non è raccomandata una temperatura superiore ai 38°C. Mantenere la temperatura al di sotto della temperatura materna è importante per prevenire l’ipertermia fetale;
  • ingresso in acqua: generalmente, si entra in acqua durante la fase di travaglio attivo, ovvero quando la dilatazione del collo uterino è avanzata e le contrazioni sono efficaci e regolari, per evitare un possibile effetto sedante e ritardante dell’acqua calda nella fase iniziale;
  • monitoraggio: durante l’immersione, il benessere materno e fetale viene monitorato. La frequenza cardiaca fetale può essere controllata a intervalli regolari o in continuo tramite un sistema senza fili resistente all’acqua. Vengono monitorate anche la temperatura dell’acqua (ogni 20 minuti), il colore dell’acqua, la temperatura corporea materna (ogni 2 ore) e la pressione sanguigna materna (ogni 4 ore). Si controlla il battito cardiaco fetale ogni 15 minuti per un minuto dopo la contrazione e si valutano i movimenti attivi fetali e i segni di progressione del travaglio. La donna non viene mai lasciata sola in vasca;
  • posizioni in acqua: l’acqua, grazie alla sua galleggiabilità, permette alla donna di muoversi più facilmente rispetto al lettino. Si incoraggiano posizioni semierette che lasciano il bacino libero, come appoggiata al bordo della vasca, a un pallone o a supporti impermeabili, o aggrappata a un telo annodato sopra la vasca (“liana”). La libertà di movimento può favorire la correzione di eventuali malposizioni fetali e facilitare la discesa del feto;
  • il parto in acqua: durante la nascita, non vengono praticati stimoli tattili al disimpegno della testa del neonato, ovvero non si aiuta il bambino a uscire dall’acqua ma si asseconda la risalita naturale verso la superficie. Non c’è il rischio che possa aspirare dell’acqua, grazie al cosiddetto diving reflex del neonato. Una volta che la testa è emersa, non deve essere più immersa;
  • nascita: il neonato viene delicatamente portato in superficie e posto sull’addome materno, generalmente con il corpo immerso fino alle spalle per limitare la dispersione di calore, mentre la testa viene asciugata. Il primo respiro del bambino si avvia solo al primo contatto dei recettori facciali intorno al naso e alla bocca con l’aria. Fino a quel momento, l’apporto di ossigeno è garantito attraverso il cordone ombelicale;
  • dopo la nascita: si favorisce il contatto pelle a pelle tra madre e neonato. In alcuni casi, se il medico lo ritiene opportuno, può essere somministrata ossitocina (generalmente per via endovenosa). Il cordone ombelicale viene clampato e tagliato, solitamente al minuto, e vengono eseguiti i prelievi necessari. La madre può essere invitata a uscire dalla vasca per l’espulsione della placenta e per il controllo dei genitali. Mamma e neonato vengono asciugati e coperti con panni caldi;
  • igiene e sicurezza: la vasca viene regolarmente svuotata e disinfettata dopo ogni utilizzo. 

Ci sono condizioni che richiedono l’uscita dalla vasca sia durante il travaglio che durante il parto, come: 

  • esplicita richiesta della partoriente;
  • difficoltà di comunicazione;
  • tracciato cardiotocografico dubbio;
  • liquido amniotico tinto di meconio;
  • rallentamento del travaglio;
  • sanguinamento vaginale;
  • iperpiressia (innalzamento della temperatura corporea oltre i 40°C); 
  • difficoltà al disimpegno delle spalle;
  • comparsa di qualsiasi anomalia. 

In ogni caso, la permanenza continua in acqua è generalmente limitata a circa due ore.

Il legame tra acqua e bambino

Perché si propone questa alternativa alle donne in travaglio? Il legame tra il parto in acqua e l’esperienza prenatale è significativo, e si basa sull’ambiente acquatico in cui il bambino si sviluppa durante la gravidanza.

Nei primi nove mesi di vita, infatti, il feto vive immerso nel liquido amniotico all’interno del corpo materno. Il concepimento stesso avviene nel fluido acquoso di una tuba di Falloppio, e il viaggio verso l’utero dura circa una settimana, sempre in un ambiente acquatico.

Durante la gestazione, quindi, il feto è circondato dai fluidi materni e dal sangue che lo nutrono, fluttuando in un ambiente che viene descritto come un grande oceano senza tempo.

La continua carezza dell’acqua sulla pelle del feto, che è il primo organo di senso a svilupparsi, fornisce le primissime sensazioni tattili. La stimolazione delle terminazioni nervose da parte del caldo liquido amniotico aiuta a formare un primitivo senso dell’Io, definendo i limiti del proprio corpo rispetto a ciò che lo circonda.

Di conseguenza, per il neonato, il breve passaggio attraverso l’acqua della vasca è considerato un elemento familiare che rende meno traumatico il primo impatto con la gravità, l’atmosfera, la luce e i rumori esterni.

Quali sono i principali benefici del parto in acqua per la madre?

Durante il travaglio, l’immersione in acqua offre diversi benefici significativi per la madre, tra cui i principali sono i seguenti:

  • riduzione del dolore e maggiore rilassamento: l’acqua calda favorisce la produzione e il rilascio di endorfine, che sono inibitori naturali del dolore, promuovendo un maggiore rilassamento. Inoltre, il clima caldo-umido dell’acqua riduce il tono catecolaminergico, contribuendo ulteriormente alla riduzione della percezione del dolore. Sia chiaro, l’acqua non elimina il dolore, ma crea una condizione di rilassamento fisico, mentale ed emotivo che ne riduce la percezione. Molte donne testimoniano di sentire un sollievo, con l’acqua che culla, avvolge e protegge, rendendo le contrazioni più governabili;
  • rilassamento muscolare: l’acqua calda permette il rilassamento della muscolatura, soprattutto del pavimento pelvico. Questo può contribuire a ridurre il rischio di lacerazioni della zona vagino-perineale al momento del parto;
  • maggiore libertà di movimento: l’acqua riduce gli effetti della gravità e sostiene il peso del corpo della donna, rendendo i movimenti più facili e il bacino più mobile. Questa libertà di movimento può favorire la correzione di eventuali malposizioni fetali e facilitare la discesa del feto nel canale del parto;
  • accorciamento dei tempi del travaglio: l’immersione in acqua durante il primo stadio del travaglio può accorciare i tempi della dilatazione e del travaglio, grazie al rilassamento e alla maggiore efficacia delle contrazioni uterine derivante dalla riduzione della pressione addominale;
  • riduzione della necessità di analgesia farmacologica: l’uso dell’acqua come metodo antidolorifico naturale può ridurre la richiesta di farmaci analgesici e dell’epidurale;
  • miglioramento della circolazione e dell’ossigenazione: la spinta idrostatica e la diminuita compressione cavale migliorano la circolazione feto-placentare e facilitano la respirazione materna. L’acqua regolarizza la pressione sanguigna, abbassandola durante il travaglio. Una migliore ossigenazione dei muscoli a livello dell’utero comporta meno dolore per la donna e più ossigeno per il bambino, diminuendo i rischi di sofferenza fetale;
  • maggiore soddisfazione materna e senso di controllo: l’immersione in acqua può aumentare la soddisfazione materna e il senso di controllo durante il parto. L’ambiente intimo e riservato della vasca permette alla partoriente di rilassarsi e abbandonarsi alle contrazioni, riducendo le inibizioni e le paure. Una donna che si sente in controllo durante il parto sperimenta un maggiore benessere emotivo postnatale.

Ovviamente, ogni gravidanza è un’esperienza unica, e ogni donna la vive e attraversa in modo diverso

Quali vantaggi per il neonato?

Oltre ai vantaggi per la mamma, vanno segnalati anche diversi benefici per il neonato in caso di parto in acqua.

Vediamo i principali:

  • nascita più dolce e meno traumatica: come accennato prima, il passaggio dal liquido amniotico all’acqua della vasca rappresenta un “continuum ideale” dell’ambiente in cui il bambino è cresciuto 9 mesi. Questo rende il primo impatto del bambino con la gravità, l’atmosfera, la luce e i rumori meno traumatico. Il parto diventa così più dolce attraverso un elemento familiare come l’acqua;
  • transizione graduale: nascere in acqua rappresenta un passaggio più graduale dalla vita intrauterina a quella extrauterina;
  • migliore circolazione fetale: come spiegato prima, l’immersione della madre in acqua favorisce una migliore circolazione feto-placentare, il che può contribuire a una migliore ossigenazione del feto durante il travaglio;
  • mantenimento della temperatura: l’acqua calda aiuta a mantenere la temperatura del neonato e a prevenire l’ipotermia. Dopo la nascita, il corpo del bambino viene generalmente mantenuto immerso nell’acqua fino alle spalle per limitare la dispersione di calore;
  • facilitazione dei primi sforzi respiratori: l’umidità dell’ambiente acquatico può facilitare i primi sforzi respiratori del neonato. La respirazione spontanea si avvia solo al primo contatto dei recettori facciali intorno al naso e alla bocca con l’aria;
  • nessuna necessità di manovre particolari: l’espulsione del feto non richiede nessuna particolare manovra e avviene naturalmente;
  • aspetto più tranquillo: il neonato che nasce in acqua appare più tranquillo rispetto a quello nato in un altro ambiente, e il pianto compare generalmente dopo alcuni minuti;
  • ridotto rischio di infezioni: diversi studi e revisioni sistematiche non hanno riscontrato un aumentato rischio di infezione per il feto/neonato in caso di parto in acqua, a condizione che vengano seguite appropriate procedure di pulizia delle vasche e precauzioni universali. Anzi, uno studio ha rilevato che una percentuale inferiore di nati in acqua ha mostrato segni di sospetta infezione rispetto ai nati con parto convenzionale;
  • nessun aumento di esiti negativi: la letteratura scientifica non ha dimostrato un aumento dei rischi di basso punteggio Apgar a 5 minuti, di ricoveri in TIN (terapia intensiva neonatale) o di mortalità associati al parto in acqua;
  • protezione dall’aspirazione: come accennato prima, mentre si trova immerso nella vasca, il bambino non respira ancora e il diving reflex (o risposta all’immersione) si attiva quando l’acqua entra in contatto con i recettori cutanei del volto, determinando un’apnea e chiusura della laringe, prevenendo così l’inalazione o l’ingestione di acqua. Il primo respiro avviene solo quando il volto del bambino esce dall’acqua.

Insomma, il parto in acqua sembrerebbe offrire al bambino una esperienza meno traumatica rispetto ad altre procedure

Quali sono i contro del parto in acqua?

Il parto in acqua è una procedura da ritenersi sicura, sia per il bambino che per la madre, ma non è esente da rischi e svantaggi

Vediamo i principali:

  • evidenze limitate per la seconda fase del travaglio: la maggior parte degli studi effettuati dalla sua introduzione negli anni ‘60 si concentra sull’immersione in acqua durante il primo stadio del travaglio. Di conseguenza, le evidenze relative all’immersione in acqua durante la seconda fase del travaglio (il periodo espulsivo) sono limitate e non mostrano chiare differenze per madre e bambino. Alcuni studi osservazionali sulla seconda fase sono condotti su piccoli campioni di popolazione e non sono sufficienti per affermare con certezza l’efficacia e la sicurezza del parto in acqua durante questa fase. Questa limitazione nelle evidenze è stata anche sottolineata dall’American College of Obstetricians and Gynecologists, che supporta l’immersione nel primo stadio ma raccomanda fortemente l’uscita dalla vasca al momento del periodo espulsivo;
  • assenza di differenze in alcuni esiti: diverse analisi non hanno mostrato differenze significative tra il parto in acqua e il parto tradizionale per alcuni esiti, come il tasso di episiotomia (incisione chirurgica del perineo e della vagina, praticata per allargare l’orifizio vaginale e facilitare il passaggio del feto), la necessità di accelerare il travaglio, le lacerazioni perineali, le perdite ematiche durante il travaglio, la distocia di spalla, i ricoveri neonatali in terapia intensiva neonatale, i casi di rianimazione neonatale o distress respiratorio, il successo dell’allattamento al seno, il tasso di perdite ematiche;
  • condizioni che richiedono l’uscita dalla vasca: come accennato, e come vedremo più nel dettaglio nel prosieguo dell’articolo, esistono diverse condizioni che richiedono l’uscita dalla vasca sia durante il travaglio che durante il parto;
  • possibili complicanze (anche se rare): sebbene gli studi non abbiano mostrato un aumento significativo, teoricamente esistono possibili complicanze come ipotermia (nel neonato, se non gestita correttamente), aspirazione di acqua (anche se il diving reflex lo previene nella maggior parte dei casi), e infezioni (se non vengono seguite rigorose misure igieniche).

In ogni caso, è importante evidenziare che molti dei potenziali svantaggi o rischi possono essere mitigati con una selezione accurata delle candidate al parto in acqua (rispettando le controindicazioni), una gestione attenta del travaglio e del parto in acqua da parte di personale esperto e il rispetto di rigorosi protocolli igienici.

Quali sono le controindicazioni al parto in acqua?

Non tutte le gravidanze possono prevedere il parto in acqua, ma esistono diverse controindicazioni, sia per la madre che per il bambino. 

Vediamo, quindi, alcune situazioni in cui questa modalità di parto non è raccomandata o è addirittura impossibile.

Non si può procedere, o va interrotta subito la procedura, in caso di:

  • gravidanza non fisiologica o non a termine: il parto in acqua è generalmente indicato solo per gravidanze fisiologiche e a termine (tra la 37esima e la 41esima settimana di gestazione). In caso di  parto prematuro non si può procedere;
  • parto gemellare: la gravidanza plurima (ad esempio, parto gemellare) è una controindicazione;
  • presentazione non cefalica: in caso di presentazione podalica (breech) del bambino non è possibile optare per il parto in acqua;
  • necessità di monitoraggio cardiaco-fetale continuo: se è necessario un monitoraggio cardiaco-fetale continuo che non può essere effettuato con un monitor fetale subacqueo, il parto in acqua non è possibile. Un tracciato cardiotocografico non rassicurante, sospetto o patologico, è motivo di esclusione o richiede l’uscita dalla vasca;
  • anestesia epidurale o spinale: l’utilizzo di parto-analgesia (epidurale o spinale) è una controindicazione;
  • emorragie in atto: in caso di emorragie vaginali è impossibile procedere;
  • infezioni materne attive: non può essere eseguito in caso di infezioni in fase attiva come HIV, Epatite B e C attiva, Herpes Simplex Virus, COVID-19 (in caso di positività o presenza di sintomatologia) sono controindicazioni;
  • iperpiressia materna (febbre): la presenza di febbre nella madre è una controindicazione;
  • difficoltà motorie materne: se la donna ha difficoltà motorie ad entrare e uscire dalla vasca in autonomia, il parto in acqua non è raccomandato;
  • personale non disponibile: la mancanza di personale formato e in numero appropriato per garantire un’assistenza one-to-one può rendere impossibile il parto in acqua;
  • progressione non fisiologica del travaglio: un marcato rallentamento del travaglio può richiedere l’uscita dalla vasca.

Ecco, invece, alcune condizioni che richiedono cautela e valutazione attenta:

  • precedente emorragia post-partum: un’anamnesi di precedente emorragia post-partum rende il parto in acqua un’opzione improbabile e da valutare attentamente;
  • tampone vaginale positivo per SGB (Streptococco Beta Emolitico di Gruppo B): la positività al SGB è considerata una possibile ragione di esclusione di questa procedura;
  • VBAC (Vaginal Birth After Cesarean – parto vaginale dopo un cesareo): anche se non è impossibile, in generale in questi casi si tende a sconsigliare il parto in acqua;
  • PROM (rottura prematura delle membrane) da più di 24 ore: la rottura delle membrane da più di 24 ore è in genere motivo di esclusione;
  • liquido amniotico tinto di meconio: la presenza di liquido amniotico tinto di meconio è spesso considerata una condizione che richiede l’uscita dalla vasca;
  • induzione con ossitocina: l’induzione del travaglio con ossitocina è solitamente ragione di esclusione, anche se in letteratura esistono casi di somministrazione del farmaco in vasca;
  • anomalie placentari o insufficienza placentare;
  • malformazioni fetali;
  • preeclampsia o gestosi;
  • cardiopatie-vasculopatie materne;
  • ipertiroidismo;
  • gravidanza insorta da PMA (Procreazione Medicalmente Assistita).

La decisione finale sull’idoneità al parto in acqua deve essere presa dal personale sanitario in base alla valutazione individuale della madre e del bambino durante la gravidanza e il travaglio.

Ci sono rischi di infezione?

Nel corso del tempo ci sono state preoccupazioni riguardo ai rischi di infezione sia per la madre che per il bambino durante un parto in acqua.

In effetti, l’acqua è un ambiente adatto alla proliferazione batterica e di altri microrganismi, ma le evidenze suggeriscono che, con adeguate precauzioni, il rischio non è significativamente aumentato rispetto al parto tradizionale.

È fondamentale che gli operatori sanitari assicurino protocolli di pulizia appropriati per le piscine da travaglio e parto e applichino precauzioni universali. Le vasche devono essere regolarmente svuotate e disinfettate dopo ogni utilizzo.

ATTENZIONE:
Le informazioni qui riportate hanno carattere divulgativo e orientativo, non sostituiscono la consulenza medica. Eventuali decisioni che dovessero essere prese dai lettori, sulla base dei dati e delle informazioni qui riportati sono assunte in piena autonomia decisionale e a loro rischio.